OGM e i semi di soia
Quando parliamo di soia pensiamo all’olio e ai derivati tipo tofu, miso, tempeh, lecitina (caratteristici della dieta vegetariana), che rappresentano dei quantitativi poco significativi relativamente al consumo dei semi della suddetta leguminosa. In realtà il consumo di semi di soia in Italia raggiunge quantitativi ragguardevoli per l’utilizzo della farina di soia negli allevamenti di animali. Per chiarire le dimensioni del problema riportiamo i dati tratti dal Convegno organizzato a Torino dalla Camera di Commercio dal titolo “Nuovi scenari di mercato dei cereali” e presenti nella relazione di Silvio Pellati (titolare dell’Agenzia omonima di Informazioni di mercato). L’utilizzo dei semi di soia in questi ultimi anni ha avuto uno sviluppo notevole (per l’apporto proteico) e soprattutto rapido. Questo sviluppo è legato alla domanda che si è avuta nel mercato come conseguenza del miglioramento del tenore di vita e del consumo di carne. Queste sono le cause per cui è aumentato il numero degli allevamenti di animali e, di conseguenza la produzione di mangimi. La produzione mondiale è passata da 184 milioni di tonnellate del 2000-2001 a 257 milioni di tonnellate nel 2011-2012. Durante il periodo dell’esplosione della domanda di soia, l’agricoltura ha potuto utilizzare le risorse della ricerca, grazie all’utilizzo dei semi geneticamente modificati che resistono ai disinfestanti. Quindi la coltura è stata facilitata. Occorre specificare che dal seme di soia si ricava l’80% di farina di soia e il 20% di olio. La farina è usata dall’industria mangimistica e dagli allevamenti di bestiame; invece l’olio è utilizzato per il consumo umano. In generale l’industria mangimistica e gli allevamenti impiegano la soia nella misura di circa il 25-35% del mangime prodotto. In Italia l’industria mangimistica produce circa 12 milioni di tonnellate all’anno di mangime per il bestiame. Di conseguenza l’Italia ha bisogno di circa 4 milioni di tonnellate di farina di soia. I maggiori produttori di soia oggi sono USA, Argentina e Brasile. La quota di OGM “free” vs. “OGM” è di 27% contro 73%. Il 15% del consumo di soia è “non geneticamente modificato”. L’Italia, con la sua produzione di circa 700 mila tonnellate di semi di soia (come da regolamento Eu, negli Stati membri non si può coltivare merce geneticamente modificata) soddisfa in parte la domanda interna. Il restante 85% della farina di soia che viene utilizzata per il consumo interno è invece di importazione, cioè geneticamente modificata. L’utilizzo della farina di soia geneticamente modificata per alimentare il bestiame è del tutto consentito dai regolamenti dell’Unione Europea. Occorre tener presente che, dato il numero elevato di tonnellate commercializzate di semi di soia, sono possibili contaminazioni fra OGM e “non OGM” nei grandi porti, nelle grandi navi, nei grossi quantitativi trasportati su gomma (Tir) e su rotaia. Scrive il prof. Gilberto Corbellini su “Il Sole 24 ore”: “Rimanere pregiudizialmente contrari agli OGM è oggi per l’Italia insensato sul piano razionale e dannoso su quello economico. Non è razionale perché gli OGM sono più sicuri ed ecologicamente sostenibili rispetto alle coltivazioni tradizionali. Ed è economicamente svantaggioso perché gli OGM garantiscono rese maggiori e tutela della qualità. È ora di tornare a investire in ricerca pubblica e nella creazione di brevetti in un settore dove l’Italia, grazie ai suoi prodotti agricoli di qualità e alle competenze scientifiche presenti nelle università e negli enti di ricerca, potrebbe rapidamente conquistare una leadership internazionale”.