Pellati R.
La Storia di ciò che Mangiamo Nuova Edizione
La Storia di ciò che Mangiamo
Di Renzo Pellati
ISBN 978-88-7889-229-3
Data di pubblicazione: Maggio 2015
Pagine:448 pagine
Prezzo: € 28,00
Daniela Piazza Editore
La “Storia di ciò che Mangiamo, Nuova Edizione” è un libro ricco di aneddoti, di fatti curiosi, di notizie a volte bizzarre che aiuta a comprendere l’evolversi delle abitudini alimentari, la comparsa dei miti e dei pregiudizi, l’importanza della ricerca scientifica. L’alimentazioni in questi ultimi anni sta diventando sinonimo di ingegneria genetica e biochimica molecolare, in quanto si è sempre molto interessati a conoscere la principale costituzione degli aminoacidi, la composizione dei grassi o quali antiossidanti sono presenti. Tuttavia, spesso, sfuggono delle nozioni molto importanti, ovvero, dove sono nati questi prodotti? Questo libro vuole essere un approfondimento per tutti coloro che si occupano di alimentazione, in modo tale che la storia degli alimenti possa influenzare la vita di ognuno di noi. La storia del passato, può essere la base per gli studi futuri. Una conoscenza dettagliata degli alimenti, può costituire una base per poter elaborare tecniche e studi in una civiltà che spesso corre dimenticandosi di tutte le sue tradizioni. L’autore Renzo Pellati, specialista in Scienza dell’Alimentazione e in Igiene, è autore di numerose pubblicazioni in campo scientifico e divulgativo. Nel corso degli anni ha ottenuto importanti riconoscimenti. Con il presente libro ha vinto il “Gran Prix 2015 de la Littèrature Gastronomique indetto dall’Académie Internationale de la Gastronomie. La Fosan è lieta di presentarvi questo nuova opera che nel panorama scientifico e professionale vuole accrescere le conoscenze per gli alimenti consumati quotidianamente ed insieme a tutto lo staff tecnico vuole augurare al Prof. R. Pellati le nostre più sincere congratulazioni per il premio raggiunto.
Recensione a cura della Dott.ssa Angela Iapello, Capo Redattore della Rivista di Scienza dell’Alimentazione
Per ordinare il libro è possibile contattare la Redazione della Fondazione per lo Studio degli Alimenti e della Nutrizione all’indirizzo e-mail: [email protected], oppure al numero 06/4880635, inviando il modulo d’ordine.
Come apprezzare il sapore dei formaggi e dei salumi
Gli studi sui prodotti caseari diffusi dal Notiziario on line “Ruminantia” e dall’Accademia dei Georgofili sottolineano che l’apprezzamento e il giudizio gustativo che si dà agli alimenti dipende dall’equilibrio presente nei 4 sapori tradizionali (dolce, amaro, acido e salato) e dal gusto chiamato “umami” che indica il sapore del glutammato, “Umami” è un termine giapponese che vuol dire “saporito”, delizioso, perché questa sostanza è stata scoperta ed estratta da un’alga marina in Giappone nel 1908. In Occidente è stato riconosciuto solo dagli inizi del ventunesimo secolo, quando Lindemam individua una proteina che funziona da recettore per il glutammato e di 5 suoi nucleotidi. Gli alimenti ricchi del gusto umami sono i salumi fermentati (pancetta, salsiccia affumicata, prosciutto stagionato, wurstel, guanciale) e soprattutto i formaggi (cito: grana, pecorino, provolone, cheddar, gruviera, fontina, ecc.), le salse fermentate (aceto balsamico). Recenti indagini rivelano che la perdita del gusto umami negli anziani provoca diminuzione dell’appetito, del peso e anche dello stato di salute. Ovviamente con la stimolazione del gusto umami si ottiene un aumento dell’appetito, del peso, e una ripresa della salute in generale. Ecco perché è importante rispettare negli alimenti fermentati il gusto umami per cui, ad esempio, non è consigliabile affettare un salame ed esporlo all’aria per diverse ore. È preferibile affettarlo al momento e dopo il taglio va protetto dall’ossigeno mettendolo sottovuoto o proteggendolo con una pellicola impermeabile all’aria durante i lavori di cucina. Vanno evitati anche i calori eccessivi e prolungati. Per lo stesso motivo il formaggio grattugiato va aggiunto alla pasta sul piatto e non conservato nelle formaggere per diverse ore o giornate intere. Il formaggio grattugiato va utilizzato sul piatto anche nella pasta in brodo e nelle paste ripiene. Evitare sempre un’eccessiva presenza di sale. Il parmigiano, uno dei formaggi a pasta dura più diffusi al mondo, e rinomato per l’alto contenuto di glutammato libero che va dagli 1,2 agli 1,6 grammi per etto. In quantità quasi uguale al “kombu”, l’alga giapponese nella quale è stato identificato l’acido glutammico responsabile del gusto umami per la prima volta.
Il mondo della pasta in evoluzione
Il mensile “Gambero rosso” dedica un ampio servizio (14 pagine) al mondo della pasta, tenuto conto che il consumo di questo alimento è in diminuzione, mentre è in crescita il mercato della pasta alternativa. L’Unione Italiana Food (nata dalla fusione dell’Associazione Italiana Industriali della Pasta con l’A.I.D.E.P.I) conferma questo andamento dovuto alla maggior appetibilità della pasta alternativa rispetto a quella della prima ora: non più legnosa, punitiva e debole al morso, ma ricca di gusto e di soddisfacente tenuta alla cottura. L’evoluzione tecnologica e qualitativa sforna oggi prodotti migliorati dal punto di vista organolettico e strutturale facendo meno degli emulsionanti per compattarla, come lecitina di girasole oppure mono e di gliceridi degli acidi grassi.
Oriana Porfiri, agronoma ed esperta di cereali, ricorda che i frumenti alternativi idonei per la pastificazione sono il farro di cocco, il grano Khorasan i grani antichi siciliani e le vecchie varietà come il “senatore Cappelli”. Le paste fatte con queste varietà hanno il pregio di essere adatte a chi soffre di “gluten sensitivity” o vogliono mangiare “leggero”, ma per essere di qualità e avere tenuta alla cottura c’è bisogno di un processo di pastificazione particolare. Tutto deve essere più lento: l’impasto, l’estrusione, l’essicazione. Sul mercato si trova il grano “kamut”, frutto di una strategia americana di marketing che ha voluto legare questo cultivar alla “leggenda” della manciata di semi di grano trovati in una antica tomba egiziana da un aviatore americano (dopo la seconda guerra mondiale) e poi diffusi in tutto il mondo. Ricordiamo il grano “turanico”, noto anche come “khorasan” dal nome della regione dell’Iran da dove proviene, e il grano “monococco”, il primo cereale addomesticato dall’uomo 7500 anni prima di Cristo: ha un basso tenore di glutine e lievita poco, di difficile lavorazione. Si usa per produrre il “bulgur” diffuso dalla Giordania ai Balcani. Ricordiamo che la “gluten sensitivity” è la condizione in cui, in seguito all’ingestione di glutine, si evidenziano sintomi in buona parte sovrapponibili a quelli della celiachia e della sindrome del colon irritabile (gonfiore, sonnolenza, diarrea, stipsi, cefalea, depressione, dolori addominali), ma non c’è atrofia dei villi intestinali, né risposta autoimmune dell’organismo. La “wheat sensitività” invece è la reazione allergica al contatto e all’inalazione di farina e/o polvere di grano, ed è sempre legata al glutine. I sintomi sono rinite, asma (in passato si chiamava “l’asma del panettiere”) e i diversi sintomi di allergie in genere. Oltre al glutine possono influire anche acari, albumine e globuline.
Un alimento funzionale: la soia
La Rivista Italiana di Nutrizione e Metabolismo (trimestrale scientifico dell’A.D.I. – Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica) ha pubblicato nel mese di Marzo 2019 un interessante lavoro sulla soia, messo a punto da R. Zupo, A. Lattanzio, L. Lampignano, G. De Pergola (Ambulatorio di Nutrizione Clinica, UOC di Oncologia Medica, Dip. di Medicina Interna – DIMO, dell’Università Aldo Moro del Policlinico di Bari. Com’è noto la soia è una pianta erbacea della famiglia delle leguminose e differisce dagli altri legumi per un maggior contenuto di grassi (19,1 g /100) e proteine (36,9 g /100). Viene infatti definita una leguminosa oleaginosa. In assoluto è l legume più povero di carboidrati (23 g /100). È interessante conoscere le caratteristiche di questa leguminosa perché la FAO segnala che si tratta di un vegetale largamente consumato nei paesi asiatici e a livello mondiale i maggiori produttori sono gli Stati Uniti, seguiti da Cina, India, Argentina. Nel nostro Paese è stata recentemente autorizzata la commercializzazione di 3 tipologie di soia geneticamente modificata (GM), che sono resistenti al glifosato e, pertanto sicure sulla salute umana, animale, e sull’ambiente. I prodotti a base di soia si classificano in fermentati e non. Al primo gruppo appartengono la pasta di soia, miso, il tempeh, e la salsa di soia (prodotti molto presenti nella cucina giapponese). Il secondo include il latte di soia, il tofu, i germogli di soia ed i fagioli di soia. Il profilo aminoacidico della soia è qualitativamente migliore rispetto ad altre proteine di origine vegetale (considerando il contenuto in glutammina, arginina ed aminoacidi ramificati ed è paragonabile a quello delle proteine animali, sebbene il contenuto in aminoacidi ramificati sia inferiore a quello delle proteine del siero di latte. Il ridotto tenore glucidico la rende idonea per i soggetti affetti da diabete, inoltre la quota glicidica è prevalentemente rappresentata da stachiosio che rappresenta un ottimo substrato di crescita per la microflora batterica intestinale. La quota lipidica di acidi grassi insaturi (PUFA) prevale su quella di acidi grassi saturi e monoinsaturi. È un’ottima fonte di micronutrienti quali ferro e potassio. Poiché la soia è in assoluto la principale fonte di isoflavoni (genisteina, daidzeina, gliciteina), il lavoro pubblicato dalla Rivista ADI presenta un’analisi dettagliata dedlla letteratura sui rapporti esistenti fra gli isoflavoni e il cancro al seno, tenuto conto che la popolazione asiatica presenta livelli sierici da 10 a 100 volte superiori rispetto a quella occidentale. Tuttavia la soia non è l’unico elemento responsabile dell’effetto protettivo, tenendo conto che gli asiatici hanno una dieta ricca di riso, pesce, vegetali, the e consumano meno grassi saturi rispetto ai caucasici. La componente proteica della soia ha dimostrato di migliorare il profilo pressorio mediante un meccanismo che coinvolge la produzione di ossido nitrico (NO). Questo aspetto è attribuire al cospicuo contenuto di arginina della soia, in quanto l’arginina è l’aminoacido precursore dell’NO (ossido nitrico), coinvolto nel meccanismo di vasodilatazione. Una recente metanalisi di 24 studi randomizzati ha concluso che la soia tal quale migliora (più dell’estratto isolato di isoflavoni)il metabolismo glicidico. Gli effetti ipocolesterolemici della soia sono da tempo attribuiti alla componente lipidica rappresentata dalla lecitina. Questa molecola agisce sia a livello intestinale emulsionando i grassi e riducendone l’assorbimento, sia come componente dell’enzima LCAT (Lecitina Colesterolo Acetil.Transferasi) per la sintesi delle lipoproteine ad alta densità. La FDA ha approvato un health claim che definisce protettiva per il rischio cardiovascolare una dieta povera in grassi animali e ricca di proteine di soia. La dose giornaliera consigliata è di 25 g di proteine di soia e di 40-80 mg di isoflavoni. Nelle conclusioni dello studio si dice che: nonostante le evidenze scientifiche forniscano sufficienti dati a favore delle proprietà nutraceutiche della soia nell’uomo, la mancanza di una visione univoca non permette di formulare raccomandazioni in termini pratici sull’assunzione di prodotti a base di soia per la popolazione femminile in generale e con una storia di cancro alla mammella. Di conseguenza l’assunzione di soia è raccomandata nel rischio cardiovascolare, ipercolesterolemia, miglioramento del metabolismo glicidico, contestualmente alla riduzione dietetica delle proteine di origine animale.
Conoscere la schiuma del caffè espresso
In passato la schiuma del caffè espresso era considerata una sorta di evento magico legato all’esperienza dell’abile barista, dando origine a varie credenze e miti senza fondamenti scientifici. Giovanni Ballarini, docente all’Università di Parma e autore di numerose pubblicazioni e ricerche indirizzate all’antropologia alimentare, ricorda nel notiziario dell’Accademia dei Georgofili che, nel caffè espresso italiano (conosciuto in tutto il mondo e consumato in milioni di tazzine, si ha un’esaltazione dell’aroma e del gusto legati alla formazione di una schiuma (o crema) che da qualche tempo è oggetto di studi sistematici chimico-fisici (vedi Ernesto Illy e Luciano Navarini in Neglected Food Bub-bles: The Espresso Coffee Foam-food biophysics). La schiuma del caffè infatti (almeno il 10 % del volume totale di una tazzina) è costituita per la metà circa da caffè liquido e per l’altra metà da micro bolle di anidride carbonica del diametro compreso tra i 10 e 150 millesimi di millimetro (micrometri) con una membrana costituita da grassi, proteine, polifenoli, acidi e glucidi, microglobuli di oli. La quantità di schiuma dipende dal tipo di caffè, ed è maggiore nel caffè Robusta e minore nell’Arabica, con gradi intermedi nelle miscele tra le due varietà. La schiuma o crema si forma quando il caffè tostato e ridotto in polvere finissima è posto in acqua calda sotto pressione. Le condizioni ottimali tipiche per l’Espresso Italiano ( non si ottengono con la semplice bollitura ) sono di circa 90° centigradi e almeno 9 “bar” di pressione. Le micro bolle della schiuma si formano dall’anidride carbonica e che si raccoglie sulle particelle di polvere di caffè che sfuggono dal filtro e hanno dimensioni da uno a 5 micrometri. Il potere aggregante dell’anidride carbonica su queste particelle è dovuto alle loro caratteristiche che derivano anche dalla presenza di cellulosa e lignina (molecole molto ramificate in un processo analogo a quello che è stato scoperto nella formazione dei buchi dei formaggi). I caffè preparati con acque dure hanno più crema e i caffè di Robusta sono più ricchi di proteine e acidi fenolici che aiutano ad ottenere una crema più fine. Il colore della crema deve avere un minimo di giallo pallido e un massimo di marrone (simile alla tonaca del frate che si ottiene con il caffè Robusta tostato scuro e con l’Arabica ben tostata). Per ottenere una migliore consistenza e tessitura della crema (simile a una panna colorata) bisogna lasciare l’espresso fermo nella tazzina, senza agitare o mescolare. In queste condizioni vi è la liberazione degli aromi della parte liquida, mentre le bollicine della crema scoppiano favorendo anch’esse l’utilizzo delle molecole aromatiche. Per questo oggi non é più valido considerare un parametro di qualità della crema la sua persistenza oltre i due minuti, ma al contrario, una crema persistente che non libera aromi è da ritenere una caratteristica negativa.
Molto importante anche la tazzina. Quella di porcellana è la migliore. Sono da bandire le tazzine di vetro, di plastica, di carta.
Addome, benessere e felicità
Serena Missori, medico chirurgo, Specialista in endocrinologia e diabetologia, spiega nel nuovo libro La dieta della pancia, edizioni Lswr che stress, colite, pancia gonfia e grassa, sono spesso associati a malumore e a disagio, ma il percorso per riconquistare una situazione di benessere dipende dalla salute della pancia.
A tal proposito propone dei piani nutrizionali e delle ricette fondamentali studiati in base alle caratteristiche di ogni individuo.
L’autrice, unitamente al prof. Alessandro Gelli, ricercatore e innovatore nell’ambito della psicosomatica ed esperto di terapia antiaging e antistress, guida il “paziente-lettore” all’individuazione del proprio “biotipo”, termine riferito alla costituzione e alla morfologia corporea di ciascun individuo, alla sua psiche, all’assetto ormonale, tutti fattori influenzati dall’ambiente, dai familiari, dal cibo e dallo stress. In altre parole, per migliorare la salute dell’addome dobbiamo rivedere le nostre abitudini di vita, la nostra alimentazione, e soprattutto la gestione dello stress: per farlo è necessario agire contemporaneamente su “cervello – stress – pancia”, così da potersi liberare definitivamente dall’adipe addominale, dal gonfiore, dalla disbiosi, e da altri fastidiosi disturbi. Seguendo il metodo “Missori-Gelli” biotipizzato, possiamo far scomparire la stanchezza, il sovrappeso, la mente annebbiata, i fastidi intestinali e la maggior parte dei sintomi correlati ai disturbi della pancia e riconquistare la nostra salute in modo consapevole. Di conseguenza, il volume “La dieta della pancia” non tratta solamente il dimagrimento ai fini estetici, ma anche e soprattutto fornisce consigli essenziali per il benessere generale dell’individuo. L’autrice ricorda infatti che la pancia gonfia e in sovrappeso può essere la spia di problematiche più rilevanti che non devono essere trascurate: malattie infiammatorie intestinali, candida, disbiosi, allergie, intolleranze alimentari, celiachia, steatosi epatica, diabete mellito, malattie cardiache, di cui è importante occuparsi per tempo.
Consumi alimentari e praticità d’uso
Il periodico “Il pesce” (diretto da Elena Benedetti, per le Edizioni Pubblicità Italia di Modena) ha pubblicato un interessante lavoro sui consumi alimentari che emergono dalle elaborazioni ISMEA sui dati NIELSEN relative agli acquisti di alimenti e bevande delle famiglie italiane per l’intero anno appena trascorso.
In un contesto di generale stagnazione, non mancano i comparti che registrano buone “performance” come le uova che hanno messo a segno una crescita della spesa pari al 14 %.
Grazie alla tracciabilità di filiera e ad una maggior attenzione verso il benessere degli animali, le uova sono state negli ultimi anni rivalutate dal punto di vista salutistico, nutrizionale ed etico.Va segnalata la sostituzione del prodotto allevato in gabbia (ormai quasi irreperibile) con quello allevato a terra, all’aperto, o “bio”.
In particolare si nota che le uova ottenute da galline allevate all’aperto registrano un incremento del 32 % per la spesa e del 22 % sui volumi, a fronte di una flessione significativa di quelle prodotte in gabbia.
Anche per altre categorie merceologiche si rileva l’effetto sostituzione di prodotti che meglio interpretano i bisogni del consumatore contemporaneo A tal proposito si segnala il “latte ad alta digeribilità” (più 9,4 % i volumi e più 4,9 % la spesa) a fronte di un trend negativo (meno 1,9 %) per il latte fresco generico, la pasta integrale (più 3,7 %) in contrapposizione alla flessione della pasta tradizionale (meno 1,9 %), e i dolcificanti che aumentano del 10 % in volume e del 2,6 % in valore, a fronte di una diminuzione degli acquisti di zucchero rispettivamente del 6 % e del 10 %.
Gli italiani continuano a definirsi sempre più frequentemente interessati e informati sulla salute legata all’alimentazione, ma il tempo per realizzare i pasti in casa resta esiguo e insufficiente: crescono infatti gli acquisti di prodotti facili e veloci da preparare. In particolare si evidenziano le “performance” dei piatti “pronti” (più 10 % nel 2018 rispetto al 2017, sia valore che in volume) e una crescita del 112 % in 5 anni.
Nell’ambito dei prodotti ittici si nota un aumento della spesa per quelli prodotti a lunga conservazione (in scatola e congelato) mentre è in calo la spesa per il prodotto fresco. Indubbiamente la sostituzione di una specie ittica con un’altra più economica e meno pregiata è oggi pratica diffusa: l’alto numero di intermediari tra la cattura e la vendita, la sempre più diffusa lavorazione del prodotto, una tracciabilità non impeccabile e l’alto numero di specie immesse sul mercato hanno reso semplice il tranello. Infatti diventa facile sostituire una polpa di capasanta con i cugini poveri, il pesce ghiaccio esportato a tonnellate dalla Cina per bianchetto o rossetto, triplicando i prezzi di vendita. Chiaramente siamo di fronte ad una vera e propria frode alimentare, che trasforma un sarago in un’orata, il pangasio con un halibut, e la verifica da parte dell’utente rimane difficile dato che il prodotto già lavorato in filetti è di difficile riconoscimento. In futuro la straordinaria evoluzione delle tecniche di biologia molecolare, basate soprattutto sul sequenziamento del DNA consentirà di riconoscere gli elementi tradizionalmente impiegati per il riconoscimento di pinne, colore della pelle e altri elementi morfologici particolari. Per ora non ci rimane che leggere attentamente le etichette e scegliere venditori di fiducia per combattere truffe e frodi di commercianti senza scrupoli.
Diete vegetali in continuo aumento
L’interesse per un’alimentazione a base vegetale non mostra segni di rallentamento, confermandosi una delle principali tendenze per il 2019. Le aziende stanno rendendo più ecologici i loro prodotti per attirare i consumatori che desiderano aggiungere più opzioni vegetariane alla dieta.
Il periodico “Industrie Alimentari” (Chiriotti editori) riporta un’indagine promossa da “Innova Marchet Insights” (diretta da Lu Ann Williams” che segnala come 8 statunitensi su 10 hanno cambiato la dieta individuale o familiare e oltre il 39 % ha aumentato il consumo di frutta e verdura. L’attrattiva delle alternative vegetali si è ampliata ben oltre il gruppo relativamente piccolo di chi evita i prodotti animali per ragioni etiche, andando ad interessare il gruppo molto più ampio di persone che vogliono un’alimentazione più sana e “pulita”. Di conseguenza i protocolli di etichettatura e certificazione vegani sono ora sempre più comuni nel mercato dei prodotti alimentari e delle bevande di massa in tutta una serie di settori merceologici.
La nutrizione per gli sportivi ha sempre considerato come una priorità il contenuto proteico, e l’attenzione è probabilmente cresciuta ancora di più quando il tema si è diffuso nel mercato alimentare e delle bevande di massa.
Fra le proteine vegetali che crescono di più figurano gli isolati proteici di soia, le proteine provenienti dai piselli e dal riso, ma spingendosi oltre la categoria delle proteine sta aumentando anche l’uso di altri ingredienti a base vegetale nei nuovi prodotti per la nutrizione sportiva, fra cui primeggiano la frutta secca e i semi, molti dei quali godono già di un’immagine sana e nutriente. La palma d’oro del successo è andata l’anno scorso alle mandorle, alle arachidi e ai semi di girasole.
Oltre ai cibi ricchi di proteine vegetali si nota anche una crescita nei principi attivi botanici, edulcoranti, erbe, condimenti e coloranti alimentari, a dimostrazione di un settore innovativo e fiorente trainato da aspetti salutistici, etici e legati alla sostenibilità.
La domanda di prodotti per la nutrizione sportiva continua a crescere in tutto il mondo (il mercato è diventato sempre più di massa). L’obiettivo è arrivare a vedere la salute e la forma fisica quotidiana come una scelta di vita.
In generale il settore della nutrizione sportiva continua ad espandersi e diversificarsi, in termini di mercati e tipologie di consumatori di riferimento, compresi quelli interessati a diversi sport, regimi di allenamento e livelli di attività.
Anche il mercato delle alternative lattiero-casearie ha beneficiato dell’interesse per le diete a base vegetale; oltre a bevande tipo latte vanno segnalati i prodotti contenenti fermenti, come yogurt, dessert surgelati e gelati, panna e formaggi.
Nutrizione e salute R. Pellati - Anno 2019 Numero 2
Scarica l'allegato oppure puoi leggere nella sezione aggiornamenti gli articoli di questo numero.
L’idratazione ottimale
M.L. Petroni (Dipartimento di Medicina Interna dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano di MI) ha sottolineato nel numero di Dicembre 2018 del periodico ADI l’importanza dell’idratazione ottimale nell’ ambito preventivo e clinico. Infatti una insufficiente idratazione può avere un impatto sfavorevole sulle funzioni cognitive e sull’umore (la presenza di acqua nel cervello raggiunge il 75 %). In particolare i bambini e gli adolescenti possono essere a rischio di compromissione della funzione cognitiva (concentrazione, vigilanza, memoria a breve termine). Ma anche negli adulti può essere sufficiente una disidratazione dell’1-2 % (riduzione dell’acqua corporea) per determinare stanchezza, problemi di umore, memoria carente a breve e lungo termine, attenzione, capacità di calcolo. La letteratura ha frequentemente evidenziato che il consumo eccessivo di bevande zuccherate aumenta il rischio di diabete di tipo 2. Oltre al problema obesità, c’è anche una relazione tra l’idratazione e la funzione renale. Il ruolo dell’acqua nella prevenzione dei calcoli renali è ben noto: recentemente è stato anche sottolineato il ruolo terapeutico dell’acqua nella prevenzione delle malattie renali croniche, in particolare negli anziani. Secondo i LARN, l’assunzione adeguata di acqua (da tutte le fonti alimentari) è di:
- 800 ml/die per i lattanti
- 1200 ml/die per i bambini da 1 a 3 anni
- 1600 ml/die per i bambini da 4 a 6 anni
- 1800 ml/die per i bambini da 7 a 10 anni
- 1900 ml/die per i bambini (femmine) e 2100 per i ragazzi da 11 a 14 anni
Dai 15 anni in poi e nell’età adulta l’apporto consigliato è di 2000 ml/die se donne, e 2500 per gli uomini. L’apporto sale a 2350 ml/die per le gravide e a 2700 ml/die per le nutrici . La Società Europea di Urologia raccomanda di assumere acqua in quantità sufficiente per ottenere un volume di urine di almeno 2 litri al giorno. Sono disponibili delle “scale cromatiche” per valutare il colore delle urine (dal giallo pallido al color paglierino). Presso i Laboratori di analisi le rilevazioni maggiormente attendibili sono date dall’osmolarità delle urine nel corso delle 24 ore. Una osmolarità urinaria nelle 24 ore di 500 mOsm/kg rappresenta un’assunzione totale di liquidi soddisfacente. Una adeguata idratazione è data anche dal peso specifico che dev’essere <1,013.