Gusto, neurobiologia e sapore piccante
Oggi si parla molto di “gusto” nell’ambito della Scienza dell’Alimentazione, perché le preferenze per i cibi sono importanti e dipendono dall’interazione di molti fattori, fra cui le nostre caratteristiche genetiche, l’età, le prime esperienze alimentari, le abitudini delle diverse culture, la piacevolezza dell’ambiente. Il gusto va studiato, stimolato e ampliato per evitare la monotonia della dieta che è un elemento di rischio per una possibile ridotta assunzione di sostanze protettive. Fino a poco tempo fa si conoscevano le strutture cellulari (papille o bottoni gustativi) responsabili dei quattro gusti principali: dolce (localizzate nella parte anteriore della lingua), salato (parti laterali), acido (parti laterali e mediali), amaro (fondo). Successivamente i neurobiologi giapponesi hanno scoperto anche il recettore del gusto “Umami” (significa delizioso), caratteristico del glutammato, un aminoacido aggiunto a forti dosi nei piatti orientali per renderli saporiti e anche nei nostri dadi da brodo. Oggi un altro passo avanti è stato fatto e riguarda la percezione del sapore piccante, un sapore che piace a milioni di persone. Si è visto che la “piccantezza” è una sensazione gustativa secondaria, non dovuta alla specifica interazione di una molecola con il proprio recettore (come avviene per il dolce e l’amaro), ma alla risposta fisica aspecifica di recettori termici (detti vanilloidi) in presenza di una particolare classe di composti detti capsaicinoidi.Gli alcaloidi capsaicinoidi sono caratterizzati da una parte della molecola simile alla vanillina (detta perciò vanilloide) e da una parte classificata come alchilamide.
I capsaicinoidi più importanti sono la capsaicina (presente nel peperoncino), la piperina (presente nel pepe), il gingerolo (presente nello zenzero).
Queste molecole possono entrare in contatto con i recettori vanilloidi presenti nel cavo orale e nella lingua detti VR1 e VRL-1. A loro volta questi recettori sono in grado di riconoscere stimoli termici (avvertono il Sistema Nervoso Centrale quando il cibo è troppo caldo), però possono essere attivati anche dai capsaicinoidi provocando sensazioni di bruciore.Contrariamente alle molecole responsabili dei sapori primari (dolce – amaro – salato – acido – umami) che possono essere riconosciute solo dagli specifici recettori presenti all’interno della bocca (epitelio linguale, palato molle, faringe), la sensazione di piccante può essere riconosciuta anche in altre parti del corpo, ed ecco perché gli alcaloidi capsaicinoidi sono impiegati anche come revulsivi. Quello che generalmente chiamiamo gusto è in realtà il “flavour”, l’aroma, che è un insieme di sostanze chimiche molto diverse, odore, consistenza, temperatura. L’80 % di ciò che percepiamo come sapore, in realtà, è odore. L’organismo umano può distinguere circa 20.000 odori diversi (grazie ai recettori olfattivi situati nella cavità nasale e nel retro della cavità orale) e almeno 10 livelli di intensità per ognuno.
Fra i vari obiettivi che si era posto Cristoforo Colombo nella scoperta del Nuovo Mondo c’era anche la ricerca di spezie pregiate come il pepe che, a quei tempi, costituiva un “business”: serviva infatti per rallentare il deperimento dei cibi e migliorare il gusto. Il sapore piccante ha sempre avuto un alto indice di gradimento (era già conosciuto dai Greci e apprezzato nella Roma imperiale). L’epoca delle grandi scoperte geografiche fu motivata in parte dalla richiesta di spezie. In realtà Colombo non trovò il pepe, ma scoprì il peperoncino che negli anni successivi cambiò le abitudini alimentari di molte popolazioni (Asia, Africa). L’enorme diffusione delle cucine etniche oggi tende a valorizzare anche questo sapore il cui effetto non va considerato come una reazione allergica. Alle dosi normali non induce necrosi ai tessuti e può favorire l’assimilazione di vitamine del gruppo B.