Anno 41/Numero 4

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Rivista : Anno 41/Numero 4

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Sensibilità al glutine

Al Congresso Nazionale ADI che si è svolto a Firenze sotto la Presidenza di Lucio Lucchin (Direttore Serv. Dietetica Osp. Regionale Bolzano), Carlo Catassi (Clin Pediatrica Università delle Marche) ha riassunto le conoscenze attuali sul problema della sensibilità al glutine (GS), un argomento di attualità perché l’epidemiologia non è ancora chiara. Alcune evidenze suggeriscono che si tratti un problema diffuso nella popolazione generale, verosimilmente più frequente della celiachia.
Sino ad oggi la GS è stata descritta soprattutto in età adulta, ma oggi si ritiene che interessi anche l’età pediatrica.
Il ruolo della suscettibilità genetica alla GS non è ancora chiaro. I genotipi HLA-DQ2-DQ8 sono presenti nei soggetti con GS con una frequenza di poco superiore rispetto a quella della popolazione generale (50 % rispetto al 30 %). Le proteine tossiche per il soggetto GS sono quelle contenute nei cereali contenenti glutine, ma è stato ipotizzato che anche frazioni proteiche diverse dal glutine, in particolare gli inibitori della amilasi-triptasi (ATI) possano essere coinvolti nell’attivazione della malattia. Il quadro clinico comprende sintomi gastro-intestinali ed extra-intestinali oemai noti. La latenza dei sintomi dopo l’ingestione di glutine è breve, generalmente compresa tra alcune ore e pochi giorni. La diagnosi è fondamentalmente clinica e non sono ancora disponibili bio-marcatori che consentano una diagnosi mirata della GS. Se il paziente giunge all’osservazione in dieta libera, sarà pertanto opportuno escludere la celiachia vera e propria (ricerca anticorpi sierici anti-transglutaminasi Ig A, anticorpi antigliadina deamidata Ig G, RAST, biopsia intestinale). Il sospetto diagnostico nasce dal riscontro che la sintomatologia scompare rapidamente dopo l’esclusione completa di tutti gli alimenti contenenti glutine dalla dieta.
A differenza della celiachia è possibile che tale condizione sia transitoria, ma occorreranno studi longitudinali per chiarire questo aspetto. E’ importante tener presente che la GS non presenta la comorbilità autoimmune tipica della celiachia.
La terapia della GS è esclusivamente dietetica e si basa sulla esclusione completa degli alimenti contenenti glutine per almeno 24 mesi, seguita dalla eventuale verifica della persistenza o meno del disturbo (prova di riesposizione).
La ricerca dovrà chiarire se lo spettro dei cereali tossici per il soggetto colpito da GS sia del tutto sovrapponibile a quello del soggetto celiaco o se presenti alcune peculiarità specifiche, così come l’eventuale soglia di tolleranza nei confronti delle tracce di glutine.

Alimentazione del futuro

L’alimentazione del futuro è proiettata verso discipline come la “nutrigenomica” e la “nutrigenetica”, due scienze relativamente giovani. Si dovrà prestare attenzione alla funzionalità dei cibi, che in base a questi principi devono essere assunti non secondo la nostra volontà, bensì acquisendo la consapevolezza che la chimica nutrizionale può costituire un mezzo importante per la salute dell’individuo.
Niente dieta, perciò, in funzione delle calorie, ma in funzione della genetica nutrizionale che mette in conto anche l’apporto calorico, ma che agisce principalmente interferendo, per mezzo dei geni, su alcuni organi bersaglio, per un miglior concepimento della salute e della sua salvaguardia.
Alfonso Piscopo, Veterinario del Servizio Nazionale, spiega sul mensile “Eurocarni” come funzionano due pulsanti molecolari “Creb” e “Sirt”.
“Per avere idea come funzionano i geni, bisogna paragonarli a degli interruttori molecolari che si accendono o si spengono in funzione del cibo, svolgendo un ruolo preventivo nei confronti di alcune malattie e apportando benessere all’individuo.
1) Il pulsante molecolare Creb 1 stimola il cervello per essere attivo (fase on) e per proteggere i neuroni deve trovare nella dieta il giusto apporto calorico giornaliero ridotto del 30 %.
I neuroni comunicano tra loro mediante le sinapsi. La corretta funzione delle sinapsi è quindi determinante per l’apprendimento e la memoria. Se le sinapsi sono alterate si ha il declino cognitivo.
La restrizione calorica potenzia la capacità delle sinapsi di memorizzare le informazioni, stimolando un gruppo di geni definiti “sirtuine” (sirt) responsabili della longevità. Facendo assumere all’animale da esperimento una dieta diminuita del 30 % del contenuto calorico, non solo viene ridotto il sovrappeso e l’obesità, ma viene allungata la vita e ridotte le malattie degenerative del sistema nervoso centrale (Alzheimer, Parkinson, demenza senile). L’azione fisiologica del Creb 1 tende ad esaurirsi con il passare degli anni, spegnendosi (fase off) con l’invecchiamento naturale. Il minor apporto calorico stimola la parte attiva della molecola Creb 1 (fase on) agendo positivamente sul cervello.
2) Le sirtuine (sirt) sono una famiglia di 7 molecole proteiche coinvolte in molteplici processi cellulari. Inizialmente sono state riscontrate nel lievito. Favoriscono il ritardo dell’invecchiamento e allungano la durata della vita
E’ stato dimostrato che i geni sirt , opportunamente stimolati con l’antiossidante resveratrolo e una dieta a basso apporto calorico, si attivano fungendo da pulsanti molecolari. Una loro caratteristica è quella di sopperire ai processi riparatori, compensando le dèfaillance dell’individuo (fase on). Se succede un danno al DNA dovuto ai radicali liberi, le sirtuine concorrono a rimediare il danno subito dal DNA attraverso un meccanismo riparatore che riequilibra la situazione. Potrebbe succedere che i geni spenti e silenti si accendano. In altre parole, il compito delle sirtuine è quello di occupare i geni eversivi facendoli arrendere affinchè non determinino un guasto irreparabile.
Andando avanti con l’età, il danno al DNA aumenta, e le sirtuine debbono ricorrere più frequentemente ai ripari, per l’invecchiamento naturale delle cellule nervose, che una volta morte, non è più possibile rigenerare”.

Cibi sotto zero

Vittorio Gagliardi presidente IIAS (Istituto Italiano Alimenti Surgelati) ha analizzato i dati sui consumi di alimenti surgelati in occasione della commemorazione dei 50 anni di fondazione dell’Istituto suddetto.
In Italia il consumo pro-capite di prodotti surgelati è tra i più bassi d’Europa (14 Kg all’incirca a fronte di un consumo medio europeo di circa 23 Kg). Di conseguenza ben si comprende come le potenzialità di crescita siano piuttosto elevate. I comparti trainanti sono quelli dei prodotti ittici, delle patate, delle pizze. L’ittico surgelato ha registrato una crescita dell’1,2 % rispetto all’anno precedente, con un trend più favorevole per il pesce al naturale (+ 3,4 %). Per il segmento pizze e snack si evidenziano ancora una volta segnali positivi (+ 3,5 % ) soprattutto per le pizze grandi (+4 %). La crescita del consumo di patate è segnalato con un + 1,4 %.
I vegetali nel loro insieme si mantengono stabili (aumentano gli aromi vegetali per il soffritto, calano le verdure semplici, zuppe e minestroni). C’è una contrazione per i piatti pronti.
Per il canale di vendita “door to door” si intravede una grande potenzialità di crescita.
Andrea Ghiselli (Dirigente INRAN) ha messo in risalto i vantaggi di tipo nutrizionale offerti dai surgelati per raggiungere l’obiettivo delle 5 porzioni di frutta e verdura segnalato dalla comunità scientifica che si occupa di Nutrizione Umana. Vitalba Paesano (Direttore della testata online www.grey-panthers.it) ha evidenziato che i “nuovi seniors” hanno oggi un livello di istruzione ed un potenziale di acquisto maggiore rispetto al passato. Nella pubblicità gli over 65 sono invece trascurati a vantaggio dei giovani.
Giovanni Siri (Docente di Psicologia all’Università San Raffaele di Milano) ha raccomandato di tenere in considerazione i piatti pronti in base alle tradizioni gastronomiche italiane che necessitano di lunghe preparazioni (zuppe di cereali, minestroni di verdure). I piatti semplici invece (pasta al pomodoro) rischiano di essere penalizzati. Siri ha rilevato una scarsità di proposte nell’area benessere-salute che meriterebbe una maggiore attenzione e di pubblicizzare maggiormente i prodotti che richiedono tempi rapidi di scongelamento. Se si vuole che il settore surgelati continui a crescere occorre combattere l’idea che il prodotto surgelato sia inferiore al fresco dal punto di vista sensoriale.
Una precedente analisi dei consumi alimentari su base Istat, Federalimentare e Centro Studi Fipe, rivela che i consumi alimentari mostrano un calo del 3 % tra il 2000 e il 2011. Ciò che emerge è che non si spende meno perché si mangia meno, ma si mangia meno perché si dedica meno tempo alla cucina. Oggi si spende a testa per acquistare prodotti alimentari circa 1.855 euro, mentre negli anni passati si spendeva 1.934 euro. Tutte le ricerche confermano che circa un quarto del fatturato dell’industria alimentare (ben il 24 % pari a 28,8 miliardi di euro) è rappresentato da prodotti che presentano un alto contenuto di innovazione: la gamma del cosiddetto “tradizionale evoluto”. E’ in aumento il gradimento del consumatore per le tecnologie d’avanguardia in grado di preservare e rendere immediatamente disponibili gusti, fragranze e proprietà nutrizionali prossimi al prodotto fresco.
Le famiglie italiane spendono attualmente per mangiare circa 215 miliardi di euro, 142 tra le mura domestiche e 73 fuori casa. Questi ultimi sono in aumento, tenuto conto anche dei nuovi stili di vita (aumento dei single, la donna che lavora, l’affermazione delle famiglie mononucleari, l’invecchiamento della società, l’avanzata della multi-etnicità).

Funghi eduli, champignon e rischio chimico

La Rivista “Progress in Nutrition” ha pubblicato due lavori del Servizio Sanitario-Dipartimento Prevenzione e SIAN di Asti (G.Zicari-D.Rivetti-V.Soardo-E.Cerrato-M.Panata) relativamente ai problemi della coltivazione dei funghi e il rischio chimico di quelli eduli.
Nel periodo 2002-2007 il Servizio Sanitario del Piemonte ha fatto registrare 150 episodi di avvelenamento da funghi che hanno causato 259 malati di cui 2 fatali (per Amanita phalloides). La casistica proviene dai raccoglitori privati e nessun caso dalla commercializzazione.
L’elevata concentrazione di metalli nei funghi edibili raccolti in natura costituisce una fonte di avvelenamento cronico nota da tempo. Quindi i funghi possono favorire la diffusione di metalli pericolosi come il cadmio, il piombo ed il mercurio dall’ambiente nella catena alimentare animale ed umana. L’utilizzo delle deiezioni zootecniche come substrato di crescita di funghi coltivati può favorire l’accumulo di questi elementi. L’uso di prodotti fitosanitari per la coltivazione dei funghi contribuisce anche alla distribuzione di metalli quali arsenico, rame, mercurio, zinco e ferro. Il lavoro pubblicato su “Progress in Nutrition” riassume i possibili rischi chimici derivanti dal consumo di funghi da crescita spontanea e coltivati.
Oggi sono coltivate oltre 20 specie di funghi, tra cui “Agaricus bisporus” (denominato champignon) utilizzando almeno 200 tipologie di rifiuti. Viene coltivato anche il “Pleurotus ostreatus” e il “Lentinulas erode”. I funghi come Agaricus bisporus (il più coltivato nel mondo) forniscono un apporto energetico e di macronutrienti modesto (90 % di acqua-3,7 g di proteine – 0,2 g di lipidi – 0,8 g di carboidrati – 2,3 g di fibre), ed il consumo pro-capite raggiunge i 10 Kg in alcune aree del mondo. L’intero ciclo di produzione dura circa 10-12 settimane e prevede l’uso per il substrato di deiezioni di pollo e/o di cavallo. Durante la coltivazione possono essere utilizzati prodotti fitosanitari e conservanti, e vengono solitamente controllati in tutte le fasi (umidità, temperatura ed aerazione), per cui la gestione di questi prodotti implica l’adozione di precauzioni sia per i lavoratori che per il rischio di residui.
Anche l’imballaggio richiede attenzioni perché si possono creare condizioni di anaerobiosi che favoriscono la crescita dei patogeni tipo Listeria monocytogenes e Clostridium botulinum. L’accumulo di umidità può favorire la crescita di muffe. La conservazione refrigerata (4 gradi) riduce il rischio di formazione di tossine.
Un terzo della produzione mondiale di funghi coltivati (3.427.000 t.) è attuato in Europa. Uno dei paesi maggiori produttori al mondo di Agaricus bisporus è la Cina che riesce ad entrare nel mercato europeo con prezzi più bassi. In classifica segue gli USA e l’Olanda. L’Italia ne produce circa 95.000 t.
Le diverse varietà di Agaricus bisporus sono classificate in base al colore: quelle chiare sono consumate prevalentemente fresche, quelle color crema sono destinate soprattutto alla produzione di funghi in barattoli.
Il lavoro citato riporta le norme di legge per l’etichettatura, la durabilità, le lavorazioni consentite.

Cacao lavorato a freddo

Claudio Ferri, docente all’Università de l’Aquila (Dipartimento di Medicina Clinica e Sanità Pubblica) ha dimostrato negli anni scorsi l’azione antiipertensiva del cacao e di recente ha confermato con uno studio pubblicato su “Hypertension” che un cioccolato ricco di flavanoli come quello di Modica aiuta la vasodilatazione e riduce lo stress ossidativo a livello dei vasi. Il prodotto suddetto è particolarmente efficace perché viene preparato a freddo, come facevano gli antichi Maya, polverizzando i semi di caco tostati e macinati, mescolandoli allo zucchero, senza riscaldare oltre i 40 gradi, come invece avviene nelle normali procedure di lavorazione che utilizzano una fase di “concaggio (vale a dire il riscaldamento in “conche”) per ottenere il cosiddetto “fondente”.
I flavanoli sono infatti antiossidanti termolabili, e oltre i 40 gradi iniziano a degradarsi. Aumentando la temperatura la percentuale di degradazione aumenta progressivamente.
Il cioccolato di Modica, lavorato a freddo, messo alla prova nelle sperimentazioni ha confermato la sua validità: riduce la pressione anche se viene associato al saccarosio. In ogni caso comunque il consumatore deve scegliere prodotti che contengono come minimo il 65 % di cacao. Da questo valore in poi restano ancora antiossidanti, anche se una parte viene persa durante la lavorazione a caldo (esempio: cioccolato in tazza).
La preoccupazione di molte persone di fronte al cioccolato è l’elevato potere calorico. Anche l’Ente Europeo della sicurezza alimentare (EFSA) invita alla moderazione, perché gli effetti positivi sul sistema cardiovascolare si hanno con piccole quantità giornaliere, purchè sia di alta qualità.

Antimuffa e agrumi

Gli agrumi possono essere colpiti da muffe che rendono i prodotti non edibili (marcescenza). Ciò si verifica soprattutto per gli agrumi che debbono fare viaggi molto lunghi (provenienza da altri continenti). A questo proposito le Autorità Sanitarie europee ed italiane hanno emanato norme che consentono di trattare superficialmente gli agrumi con bifenili e tiabendazolo, antimuffa con le sigle E 230 e E233, ovviamente a condizioni che i residui rientrino nei limiti imposti dall’Unione Europea. L’autorizzazione si basa sul fatto che, normalmente le bucce vengono scartate e quindi il pericolo di assumere i residui degli additivi dovrebbero essere modesti. Esiste però il pericolo che le bucce vengano ingerite o utilizzate per fare liquori o confetture di marmellata o canditi. Il pericolo è possibile anche per gli agrumi venduti allo stato sfuso, dove scompare la dicitura dell’etichetta “bucce non edibili”.
Gli agrumi di importazione sono quelli maggiormente a rischio, come il lime, apprezzato per la sua scorza impiegata nella preparazione di cocktail.
Anche se la pericolosità dei due additivi è modesta, risulta ragionevole il consiglio dell’Unione Nazionale Consumatori (messo a punto dal prof. Agostino Macrì) di evitare il consumo alimentare delle bucce di tutti gli agrumi, sia in modo diretto allo stato fresco o conservato, sia utilizzate per aromatizzare bevande alcooliche, analcoliche e infusi.

Scarse informazioni a proposito di OGM

Il sondaggio ISPO/FUTUR AGRA su “Informazione, ricerca scientifica,e propensione all’acquisto degli OGM in Italia” ha rilevato che delle circa 370 mila notizie trasmesse dalle 7 reti televisive e dalle 15 emittenti radiofoniche nazionali tra il 1 Gennaio 2011 e il 25 Settembre 2012, solo 61 ( 0,02 %) hanno trattato il tema OGM e per un tempo pari allo 0,03 % sul totale di informazione delle reti che hanno proposto l’argomento.
Parallelamente il sondaggio mette in luce che il 33 % della popolazione dichiara di non avere mai sentito parlare di OGM, percentuale che sale al 50 % tra gli over 64enni e al 41 % tra chi è residente nel Sud e nelle Isole. Nonostante il 67 % degli italiani dichiari di conoscere gli OGM, di questi solo il 70 % sa bene di cosa si tratta. Una percentuale che si assottiglia ulteriormente ( 5 % ) se si escludono quanti non conoscono il significato dell’acronimo o non hanno le idee chiare sulla presenza di geni in tutte le piante e non solo in quelle biotech. Gli intervistati sono divisi sulla conoscenza dell’acronimo OGM (Organismi Geneticamente Modificati): meno di uno su due indica correttamente il significato e il 48 % non ne conosce affatto il significato.
Se si considera l’esposizione media alle informazioni, secondo il sondaggio ISPO/Futuragra, quelle contrarie agli OGM superano di 8 punti quelle a favore, un differenziale che sale a 10 punti percentuali se si considerano solo coloro che dichiarano di aver sentito parlare di OGM.
Dal sondaggio emerge che il 42 % degli italiani pensa che oggi in Italia si coltivino prodotti agricoli OGM e che il 63 % non sappia o pensi che sia falso il fatto che nei prodotti in vendita siano presenti quote di ingredienti OGM.
Solo 1 italiano su 5 sa che negli allevamenti italiani DOP è consentito impiegare mangimi OGM.
E’ il frutto di una propaganda contro le biotecnologie che da una parte fa credere che si coltivino e dall’altra nasconde che negli alimenti e nella filiera siano usate da anni materie prime biotech, senza danni alla salute e con benefici economici sia per i consumatori che per i produttori.
Solo il 12 % della popolazione si è attivata direttamente per cercare informazioni sugli OGM, mentre il 55 % le ha ricevute passivamente. Mentre per gli “attivi” è internet la prima fonte (46 %), per i “passivi” la televisione è di gran lunga la fonte più citata (70 % del totale delle risposte).
Nel complesso il 51 % degli italiani non è stato esposto ad alcuna informazione sugli OGM, sebbene il 25 % di coloro che mostrano un elevato livello di esposizione si concentri nella fascia di età tra 18 e i 34 anni ( 25 % ) e risieda nel Nord Est (30%).
In particolare un quarto dell’informazione radiotelevisiva è stata riservata a interventi del Presidente di Coldiretti (15,1 %) e di Mario Capanna, Presidente della Fondazione Diritti Genetici (10,2 %), entrambi apertamente contrari agli OGM. La “scienza” è stata rappresentata solo da 3 voci: Roberto Defez (8,9 %), Gianni Tamino (8,9 %), Giorgio Calabrese (5,9 %) che complessivamente rappresentano il 23,7 % degli ascolti da telegiornali, giornali radio, trasmissioni televisive e radiofoniche.

Sicurezza per i mangimi

Oggi si può avere fiducia nei mangimi in commercio per cani e gatti (la loro presenza è stimata in Italia in 14 milioni di esemplari) dato che si tratta di prodotti ottenuti con processi industriali che di fatto li sterilizzano. Sono soggetti a procedure di autocontrollo nell’interno delle aziende ed anche a controlli pubblici generalmente effettuati dai servizi veterinari delle ASL. Ovviamente occorre attenzione per la data di scadenza e per il prezzo, tenuto conto che le confezioni monodose hanno dei prezzi piuttosto elevati.
La produzione di questi prodotti alimentari è regolamentata da norme comunitarie, di cui la più recente è il Regolamento 767/2009. In sintesi, esiste un elenco positivo delle materie prime che possono essere impiegate per i mangimi, l’elenco degli additivi utilizzabili, i livelli di tolleranza delle sostanze “indesiderabili” che possono trovarsi nel prodotto finito.
E’ interessante notare che le concentrazioni ammesse di taluni additivi (esempio: nitrati e nitriti) sono più basse di quelle consentite per gli alimenti per l’uomo. La stessa cosa vale per alcuni contaminanti come il mercurio, dove i limiti di tolleranza sono più restrittivi che per gli alimenti destinati all’uomo. La maggior severità è dovuta al fatto che la dieta dell’uomo è molto varia e quindi il pericolo di un accumulo di una determinata sostanza chimica è minore rispetto agli animali la cui dieta può essere fissa e basata sul consumo costante di uno stesso mangime.
I mangimi sono disponibili sia umidi che secchi. Si tratta di un particolare importante perché i mangimi umidi hanno una percentuale di acqua anche superiore al 70 % , mentre in quelli secchi l’acqua è di poco superiore al 10 %: in pratica, a parità di prezzo, i nutrienti contenuti nei mangimi umidi costano molto di più di quelli secchi.
Non esistono differenze significative come qualità nutrizionali e di sicurezza tra i vario mangimi e non bisognerebbe farsi attrarre dai messaggi pubblicitari o dall’aspetto esteriore delle confezioni. Può invece essere utile chiedere un consiglio al Medico Veterinario cui ci si rivolge per la normale assistenza.

La proteina responsabile del diabete di tipo 2

Ricercatori italiani hanno scoperto che bloccando una proteina chiave nello sviluppo del diabete di tipo 2 è possibile prevenire l’insorgenza di alcuni dei sintomi tipici di questa grave malattie metabolica sempre più diffusa nel mondo occidentale.
Pubblicata su “Nature Medicine”, la scoperta si deve ad un gruppo internazionale di studiosi tra cui il gruppo di ricerca dell’Università Cattolica di Roma coordinato da Andrea Giaccari. Lo studio ha preso le mosse da una scoperta di ricercatori dell’Ospedale di Brunico (Bolzano), in collaborazione con ricercatori degli atenei di Innsbruck e di Verona, fra cui Enzo Bonora.
Protagonista di questo studio è la proteina RANKL. Le persone che hanno elevate quantità di RANKL nel sangue hanno un rischio molto più elevato di ammalarsi di diabete, anche fino a 4 volte in più rispetto alle altre persone.
RANKL è una citochina appartenente alla stessa famiglia del “Tumor Necrosis Factor (TNF); funziona legandosi al suo recettore b (RANK – Receptor Activator of the Nucleal Factor B), che è espresso sulle cellule del fegato e sulle cellule beta del pancreas (quelle che producono insulina). Quando RANKL si lega al suo recettore, va ad attivare l’NF-kb (Nucleal Factor B); l’NF-kB attivato si sposta nel nucleo della cellula e lì va ad “accendere” i geni che codificano i mediatori dell’infiammazione. La reazione infiammatoria che ne consegue, provoca insulino-resistenza nel fegato e apoptosi (cioè morte) delle cellule pancreatiche.
I ricercatori hanno utilizzato topini alimentati con una dieta ricca di grassi (simile alla dieta scorretta che fa ammalare molte persone di diabete) dimostrando in modo inequivocabile che riducendo RANKL é possibile prevenire i picchi di insulina che sono il primo passo verso il diabete.
Esistono già dei farmaci che hanno come bersaglio d’azione la proteina RANKL, ma servono per curare altre malattie infiammatorie me non sono utilizzabili nella cura del diabete. Del resto non è un caso che la metformina, un farmaco cardine nella terapia del diabete, ha anche un blando effetto anti-RANKL, in particolare a livello delle ossa.
La scoperta può aprire la strada per lo sviluppo di farmaci per la prevenzione del diabete e aiuta a comprendere questa complessa malattia perché mette in luce lo stretto rapporto esistente tra l’insorgenza del diabete e i processi infiammatori.
Modificando geneticamente alcuni animali da esperimento (aumentando o riducendo la concentrazione della proteina RANKL) si è visto che effettivamente la proteina RANKL è coinvolta nel metabolismo del glucosio. Bloccando la RANKL nei topi diabetici si ha un miglioramento delle alterazioni metaboliche tipiche della malattia.
Rimane da sperare che la ricerca italiana non venga ulteriormente mortificata dalla poca attenzione delle Istituzioni e che trovi maggior sostegno da parte di tutti.

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