Sciarroni M.
Decreto n. 75/2018: Piante officinali e alimentazione
Sommario
Le piante officinali rivestono da sempre una posizione di grande rilievo sia in ambito medico e sia nel settore alimentare. Tali piante sono connotate da tradizioni storiche assai risalenti e il loro utilizzo era ed è molto consolidato dal punto di vista gastronomico. Le proprietà delle medesime vengono, infatti, notoriamente riconosciute per l’efficacia nutrizionale. Dacchè, deriva la circostanza che i prodotti erboristici originati da simili piante, mediante specifici processi di estrazione e di trasformazione, debbano essere regolamentati giuridicamente al fine di garantire la massima sicurezza per la salute dei consumatori. In Italia la prima definizione normativa di pianta officinale è da ricondurre al Decreto Regio n. 99 del 1931, il quale, per lunghissimo tempo, è stato l’unico a disciplinarle. Successivamente si sono susseguite talune circolari del Ministero della Salute, che di concerto con il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e Turismo ha, inoltre, provveduto ad elaborare un Piano di settore sulla filiera delle piante officinali (2014-2016). Nel maggio del 2018 è stato approvato il Testo Unico in materia di coltivazione, raccolta e prima trasformazione delle piante officinali (Decreto Legge n. 75/2018). Tramite quest’ultimo Testo Unico il legislatore italiano ha inteso rielaborare la disciplina vigente attraverso un assetto innovativo e, abrogando alcune norme ormai desuete, ha voluto favorire lo sviluppo e la crescita del settore di produzione nazionale, senza, peraltro, trascurare di promuovere la biodiversità e l’origine naturale dei prodotti stessi. Occorre precisare che, del pari, la legislazione Europea da tempo si impegna al fine di un’armonizzazione completa e diretta alla realizzazione di una disciplina uniforme per tutti gli stati membri. Palese la grande attenzione da parte dell’Efsa (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) riguardo la sicurezza delle sostanze e dei prodotti basati su sostanze e su preparati vegetali allo scopo di evitare contaminazioni e rischi per i consumatori.
La responsabilità civile del produttore di alimenti
Riassunto
Lo sviluppo della tematica relativa alla responsabilità civile nell’ambito della produzione e della commercializzazione di alimenti è strettamente collegato ai numerosi cambiamenti dei rapporti commerciali e del mercato nel settore alimentare. Ciò in ragione del notevole apporto tecnologico che si è andato consolidando soprattutto negli ultimi decenni e che ha condotto alla “massificazione della produzione indotta dalla tecnologia, cui è seguito l’allungamento della catena distributiva attraverso la quale l’alimento dal suo produttore giunge alla disponibilità del consumatore finale”( Ferrari-Izzo). La tecnologia ha, dunque, permesso di ottenere tempistiche più agevoli, di garantire alti livelli di sicurezza, nonchè di coprire distanze molto lontane da quelle del luogo di produzione, pertanto vi è stata un’evoluzione enorme nel trasporto, nella conservazione, nella distribuzione degli alimenti. Alla luce di quanto detto, lo schema produttivo-alimentare è andato articolandosi in vari passaggi negoziali dal punto di vista giuridico, ove non predomina più soltanto la figura del venditore che, spesso, coincideva anche con lo stesso produttore. Orbene, è sorta la necessità di assicurare una tutela risarcitoria maggiore per i consumatori che entrano in contatto con ulteriori soggetti facenti parte del ciclo produttivo. La produzione e la commercializzazione di prodotti alimentari può originare talune tipologie di responsabilità per le aziende che prendono parte alla catena produttiva. Al riguardo, si distinguono tre profili di responsabilità: quella civile (contrattuale ed extracontrattuale), quella penale e quella amministrativa. Il tema affrontato dal presente contributo sarà quello della responsabilità civile. In primis, si accennerà brevemente alla distinzione tra la responsabilità civile–contrattuale e quella extracontrattuale, in seguito si soffermerà l’attenzione sui danni causati dall’uso di un prodotto “non conforme”.
Nanotecnologie e sicurezza alimentare
Riassunto
L’innovazione scientifica, sempre più massiva, ha aperto il campo alla rivoluzione delle cosiddette “nanotecnologie” che trovano applicazione anche in campo nutrizionale ed alimentare. La nanotecnologia è quel settore della scienza che si occupa dello studio della materia in dimensione nanometrica, che conduce, inoltre, ad una manipolazione della materia a livello atomico, non soltanto dei singoli atomi e delle molecole, ma anche dei loro aggregati. In campo alimentare tali tecnologie permettono tale manipolazione molecolare che è diretta a migliorare il valore nutrizionale e la sicurezza dei prodotti.
Di tutta evidenza i potenziali effetti e vantaggi che possono scaturire da una simile tecnologia, ciò, però, non consente di trascurare e di vagliare anche eventuali rischi per la salute dei consumatori.
Pertanto, l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), fin dal 2006, ha posto in essere un’attenta attività di controllo al fine di valutare i potenziali rischi derivanti dalle nanoscienze e dalle nanotecnologie sulla sicurezza alimentare. A tale proposito l’atteggiamento nei confronti di siffatta materia è da sempre improntato alla massima prudenza in attesa di ottimizzare le ricerche e di comprendere con maggiore chiarezza gli effetti che le particelle scaturenti da queste nuove tecnologie possono sortire sull’organismo umano. Stante ciò, appare pacifico che l’impiego di alimenti contenenti nanomateriali debba essere preventivamente autorizzato. In ragione di quanto detto, nel luglio 2018 l’EFSA ha reso pubbliche le Linee Guida inerenti le modalità operative sulla valutazione del rischio per la salute umana e per quella animale in merito alle richieste di autorizzazione in tema di applicazioni delle nanotecnologie nella catena alimentare. Il documento disciplina le procedure autorizzative dei nuovi alimenti, dei materiali a contatto con gli alimenti, degli additivi alimentari e di quelli per i mangimi, dei pesticidi, è, altresì rivolto a tutte le parti coinvolte nel procedimento di autorizzazione, ovvero: gestori del rischio, valutatori del rischio, nonché i medesimi richiedenti. Giova accennare ad un settore, ove la nanotecnologia si è andata affermando in maniera esponenziale, ossia, quello degli imballaggi destinati all’industria alimentare. I principali imballaggi usati sono: le bottiglie in Pet provviste di barriera all’argilla, le pellicole con nano-zinco per la conservazione degli alimenti, le nanoparticelle di argento come rivestimento antimicrobico per le confezioni in atmosfera modificata.
Acque destinate all’uso umano: normativa
Riassunto
L’acqua è un bene essenziale per la vita. Pertanto, è necessario evitare che in essa si concentrino talune sostanze che possano nuocere alla salute. Appare di palmare evidenza l’opportunità di volgere particolare attenzione a ciò che l’acqua contiene in sé. Al fine della sua potabilità deve, invero, possedere determinate e specifiche caratteristiche, ovvero, deve essere: incolore, insapore, inodore, chimicamente e batteriologicamente pura, priva di particelle sospese. Al contempo, si sottolinea che l’acqua contiene sostanze, cioè, “oligoelementi”, come il potassio, il magnesio, i quali sono in grado di fornire benefici all’organismo umano. La disciplina normativa di riferimento per le acque destinate al consumo umano è il decreto legislativo n. 31 del 2 febbraio 2001 (“Attuazione della Direttiva 98/83/CEE) e le sue successive modifiche, nonché il Decreto del Ministero della Salute del giugno 2017 che apporta alcune modifiche alla disciplina del 2001. Si precisa che il decreto legislativo n. 31/2001 non si applica alle acque minerali naturali e a quelle medicinali riconosciute, nonché alle acque destinate esclusivamente a quegli usi, per i quali la qualità delle stesse non ha ripercussioni dirette o indirette sulla salute dei consumatori interessati. L’acqua rappresenta uno dei pilastri fondamentali per la salute, risulta essere, però un elemento di estrema instabilità, in ragione dei mutevoli cambiamenti ambientali e climatici e dei vetusti sistemi di reti idriche che si sono susseguiti negli ultimi anni. Ciò si traduce in una maggiore vulnerabilità dell’ecosistema acquifero e, dunque, rende più attuale la problematica relativa alla sicurezza delle acque e alla loro tutela.
Latte fresco pastorizzato e latte pastorizzato. Decreto legislativo 231/2017
Riassunto
Il decreto legislativo n. 231/2017, in attuazione del Reg. UE n. 1169/2011, consente la liberalizzazione della data di scadenza del latte pastorizzato e del latte fresco pastorizzato. Dal 9 maggio 2018, invero, tramite il decreto legislativo suindicato, verrà abolito il limite stabilito dalla legge per la data di scadenza in precedenza vigente. In via preliminare deve essere evidenziato il carattere fondamentale che il latte riveste nell’alimentazione, soprattutto, nei primi mesi di vita dei bambini. Al riguardo, è prevista una normativa specifica e rigorosa per la disciplina del trattamento e della commercializzazione di siffatto prodotto. Tale normativa trova fondamento nella legge n. 169 del 3 maggio 1989, con le relative modifiche. Quest’ultima, oltre ad indicare le caratteristiche e le definizioni del latte alimentare, prescrive i trattamenti ammessi e le regole volte alla commercializzazione del prodotto. Desta particolare attenzione il decreto legislativo n. 231/2017, poiché all’articolo 30 prevede la soppressione di talune norme della legge n. 169/1989, tra cui proprio quelle inerenti il termine di scadenza del latte pastorizzato e del latte fresco pastorizzato.
Integratori alimentari probiotici e prebiotici-linee guida
Riassunto
Nella categoria degli integratori alimentari sono compresi anche quelli a base di probiotici e di prebiotici. Grande attenzione viene riservata a tali integratori, i quali sono molto spesso utilizzati in condizioni di particolare stress psico-fisico o in seguito alla somministrazione di taluni farmaci. Tutte evenienze che provocano uno sbilanciamento della microflora intestinale, meglio conosciuta con il termine di “disbiosi”, la quale rende più vulnerabile l’organismo agli agenti patogeni. Ormai, risulta acclarato, come la dieta sia in grado di influire sulla composizione della microflora intestinale. Ciò attraverso il consumo di prodotti, assai comuni, quali lo yogurt e il latte fermentato che sono composti essenzialmente di probiotici, intesi come microrganismi vivi che una volta ingeriti in adeguate quantità, riescono ad esercitare funzioni benefiche per l’organismo. Di origine più recente l’uso dei prebiotici, sostanze non digeribili di origine alimentare che, assunte in dosi esatte, favoriscono selettivamente la crescita e l’attività metabolica di uno o più batteri già presenti nel tratto intestinale, producendo, così, un effetto favorevole alla salute umana. Si tratta, pertanto, di prodotti in grado di assicurare e di migliorare le funzioni di equilibrio fisiologico dell’organismo mediante alcuni elementi aggiuntivi rispetto alle normali attività nutrizionali. Dal punto di vista normativo la Direttiva 2002/46 del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo ha rappresentato il riavvicinamento delle legislazioni nazionali in tema di integratori alimentari. Fino al 2002, invero, vigeva esclusivamente un mutuo riconoscimento, giuridicamente accettato, tra gli stati membri dell’Unione Europea. In Italia, la Direttiva sopra richiamata, è stata recepita con il Decreto Legislativo n. 169/ 2004, mediante il quale sono state disciplinate: le definizioni, l’immissione in commercio, l’etichettatura e il confezionamento, nonché i messaggi pubblicitari degli integratori alimentari. Si osserva che a livello nazionale, vi è stata la formulazione di una serie di linee guida nel 2002, nel 2005 e, più recentemente nel 2013, che hanno inteso recepire tutti gli elementi di rilievo dei più importanti documenti FAO/WHO e che, a tutt’oggi, costituiscono il punto di riferimento centrale in materia di integratori a base di probiotici. Vieppiù, tali linee guida sono considerate di massimo interesse per i programmi di valutazione di conformità degli integratori alimentari con probiotici e per la verifica dei piani di autocontrollo delle aziende produttrici da parte delle autorità preposte al controllo ufficiale.
Indicazione dell’origine del riso e del grano – pasta di semola
Riassunto
Il Reg. UE 1169/2011, ai sensi dell’articolo 7, dispone: “Le informazioni sugli alimenti non inducono in errore, in particolare: a) per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento e, in particolare (…) il paese d’origine o il luogo di provenienza (…)”. Appare pacifico come tale regolamento consenta l’indicazione d’origine di un prodotto a patto che questo non comporti un danno nei riguardi del consumatore. La tutela dell’origine geografica di un alimento è strettamente connessa alla tutela della qualità, poiché mediante una simile garanzia vengono ad essere assicurate le tradizioni gastronomiche. Ciò senza, peraltro, tralasciare la circostanza relativa alla protezione di prodotti che provengono da zone a rischio o molto disagiate, pertanto, la loro tutela permette di ottenere benefici economici non indifferenti.
Dacché, risulta chiaro il fatto che uno dei modi in cui viene a rilevare la qualità di un alimento è quello di porne in evidenza l’origine geografica. L’Italia ha da tempo avvertito l’esigenza di una maggiore e sempre più pressante tutela dei prodotti nazionali al fine di sottolinearne, tramite l’indicazione geografica, le caratteristiche qualitative predominanti. Alla luce di quanto detto, dunque e, soprattutto allo scopo di attribuire la massima trasparenza alle informazioni, il Ministero delle Politiche Agricole e il Ministero dello Sviluppo Economico hanno deciso di introdurre, tramite la sottoscrizione di due decreti e in via sperimentale, l’obbligo di indicazione in etichetta dell’origine del riso e del grano per la pasta di semola di grano duro. Siffatti decreti fanno seguito alla norma entrata in vigore nell’aprile 2017, riguardante l’obbligatorietà di riportare in etichetta l’origine delle materie prime usate nella produzione del latte e dei prodotti lattiero-caseari.
Normativa vinicola: dalla coltivazione delle viti alla commercializzazione dei vini: legge 238/2016
Riassunto
La Legge n. 238 del 12 dicembre 2016, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 302/2016, ha riformulato l’intera disciplina italiana inerente la regolamentazione vinicola. Tale atto, entrato in vigore il 12 gennaio 2017, contiene le principali statuizioni in tema di coltivazioni delle viti, di produzione e di commercializzazione del vino, riunendo le stesse in un unico testo. Il nuovo provvedimento nasce con l’auspicio di riordinare la normativa precedente al fine di snellire la medesima e di renderla più fruibile e maggiormente trasparente per i consumatori. Ciò tenendo in considerazione anche il rafforzamento e il miglioramento del mercato produttivo, in ragione della crescita del settore vinicolo, soprattutto dal punto di vista dell’esportazioni. Il legislatore italiano ha, inoltre, voluto, non solo procedere ad un’operazione di riunione delle norme italiane ma anche introdurre nuove disposizioni. Si citano ad esempio: l’ampliamento della nozione di cantina e di stabilimento enologico, con l’inclusione delle relative pertinenze; l’autorizzazione, in particolari ipotesi, di fermentazioni non comprese nel periodo di vendemmia; il riconoscimento agli agenti vigilatori della qualifica di addetti all’accertamento delle violazioni da essi rilevate nell’esercizio delle loro funzioni di controllo; l’attribuzione ai consorzi della competenza inerente alle funzioni di tutela, di promozione, di valorizzazione e di informazione del consumatore, nonché di cura generale degli interessi della relativa denominazione; l’introduzione per i consorzi della facoltà di avvalersi di un sistema telematico di controllo e di tracciabilità alternativo per i vini DOP e IGP, tramite l’inserimento di un codice alfanumerico univoco e non seriale, il quale consenta l’identificazione di ciascun contenitore immesso sul mercato; l’inclusione delle verifiche sulle imprese del settore vitivinicolo nel registro unico dei controlli ispettivi ai sensi del Decreto Legge n.91/2014, l’inasprimento delle sanzioni per le violazioni più gravi. Appare pacifico l’obiettivo di rendere più chiare e incisive le disposizioni tramite una semplificazione della normativa e un miglioramento nel sistema dei controlli e delle sanzioni allo scopo di una maggiore tutela sia dei consumatori e sia del comparto agroalimentare interessato.
Prodotti surgelati e consumatori
Riassunto
La diffusione e l’acquisto di cibi surgelati è in continua crescita, i medesimi, infatti, rientrano a pieno titolo nell’alimentazione quotidiana. Tali cibi sviluppatisi, inizialmente, come rimedi veloci nei casi di emergenza in cui il tempo per cucinare veniva a mancare, sono divenuti dei prodotti elaborati e
adatti alle diverse esigenze familiari e sociali. Il settore della surgelazione, pertanto, appare proliferare e divenire sempre maggiormente tecnologico. Nonostante ci siano, però, talune criticità relative alle mancate, oppure poco corrette informazioni riguardo le differenze intercorrenti tra i prodotti surgelati e i prodotti congelati che, molto spesso, vengono confusi dai consumatori. Di fondamentale importanza, per i prodotti in esame, risulta essere il mantenimento scrupoloso della “catena del freddo”. Quest’ultima, invero, deve osservarsi e realizzarsi secondo precisi dettami scientifici e giuridici, al fine di conseguire una surgelazione ottimale per ottenere sia un buon sistema di conservazione e sia per fornire al consumatore l’offerta di un prodotto quanto più simile possibile all’alimento fresco.
Peraltro, la normativa e la legislazione, oltre a disciplinare l’intera materia dei prodotti surgelati, sono anch’esse improntate alla regolamentazione delle modalità operative di conduzione della catena del freddo nelle procedure di surgelamento e delle modalità di corretta conservazione dell’alimento surgelato prima di essere posto in vendita. La sicurezza alimentare e l’igiene di siffatti prodotti viene assicurata mediante l’osservanza di specifiche prescrizioni inerenti: la temperatura, la quale deve essere mantenuta ad un valore pari o inferiore a – 18°C; la freschezza e la qualità delle materie prime; l’adeguatezza del confezionamento, volto ad impedire ogni eventuale contaminazione; l’idoneità dei mezzi di trasporto, nonché l’appropriatezza dei banchi frigoriferi.
FITOSANITARI E ALIMENTI
Sommario
I consumatori sono sempre più attenti ai rischi alimentari, in particolare il riferimento riguarda i pericoli connessi all’assunzione di prodotti contaminati, nei quali possono essere presenti sostanze ed elementi estranei alla loro normale composizione. Al proposito, ai sensi dell’articolo 1 del Reg. CEE 315/93, i contaminanti alimentari vengono definiti nel seguente modo: “ ogni sostanza non aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari, ma in essi presente quale residuo della produzione ( compresi i trattamenti applicati alle colture e al bestiame e nella prassi della medicina veterinaria), della fabbricazione, della trasformazione, della preparazione, del trattamento, del condizionamento, dell’imballaggio, del trasporto o dello stoccaggio di tali prodotti, o in seguito alla contaminazione dovuta all’ambiente”. Da ciò si evince che la suddetta contaminazione può avvenire in ogni fase della filiera. Al fine di evitare pericoli per la salute dei consumatori e pregiudizi per l’ambiente il legislatore comunitario ha improntato una normativa volta a fissare livelli severi e rigorosi dei residui delle sostanze in esame per mantenerne i valori molto bassi. Il presente contributo ha posto l’attenzione sulla contaminazione chimica degli alimenti in agricoltura e in zootecnia attraverso l’utilizzo illegittimo o improprio di fitosanitari ( pesticidi, diserbanti, erbicidi, antibiotici, fungicidi). Giova ricordare che, proprio in agricoltura, l’utilizzo di simili sostanze permette di difendere le coltivazioni dalle infestazioni e dalle malattie, tuttavia, il loro uso indiscriminato e scorretto può degenerare ed originare un’alta percentuale di presenza di residui in molti prodotti alimentari sia di origine animale che vegetale.