Anno 41/Numero 2
Alimenti destinati all’infanzia: la tutela dei bambini
L’alimentazione infantile negli ultimi anni ha acquistato sempre maggiore importanza, ciò in ragione dal fatto che essa è divenuta un utile strumento di educazione alimentare, attraverso il quale viene a definirsi il rapporto con il cibo fin dai primi anni di vita. Al riguardo si evidenzia il dilagare di abitudini alimentari scorrette che, di sovente, generano nei bambini problemi di sovrappeso e di obesità. Tali problematiche hanno destato particolare preoccupazione, tanto da essere considerate dall’OMS e dal Ministero della Salute come vere e proprie epidemie.
Non deve essere, altresì trascurato il tema della sicurezza e della salute dei piccoli consumatori, i quali hanno caratteristiche fisiologiche e fabbisogni nutrizionali specifici, in virtù del loro continuo sviluppo e della loro crescita. A tale proposito sono state previste determinate disposizioni legislative per gli alimenti destinati all’infanzia. Siffatti prodotti devono, infatti, rispettare precisi criteri, essendo diretti espressamente ai lattanti e ai bambini fino ai tre anni.
La normativa di settore prevede divieti e limiti ben dettagliati riguardo l’uso di additivi, di pesticidi e di contaminanti; vengono puntualizzate, inoltre, le modalità operative della pubblicità e dell’etichettatura. Quest’ultime non devono riportare illustrazioni o diciture che possano idealizzare il prodotto. In particolare, la pubblicità inerente i prodotti per lattanti può essere realizzata soltanto attraverso pubblicazioni e indicazioni a carattere scientifico.
L’ambito dell’alimentazione infantile, pertanto, risulta regolamentato sia a livello comunitario e sia in quello nazionale da una severa disciplina, molto spesso sconosciuta ai genitori, i quali, di converso, vengono bersagliati da informazioni non coerenti, confuse e, non di rado, connesse ad interessi prettamente commerciali. Degna di rilievo da parte del legislatore Italiano la recente adozione del D.lgs 84/2011, relativo alla disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni sugli alimenti per lattanti e per quelli di proseguimento contenute nel Decreto del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali n. 82/2009, attuazione della Direttiva CE 2006/141. Ciò al fine di una tutela più efficace della salute e della sicurezza nella produzione e nella commercializzazione di tali alimenti che, in ogni caso, presentano alcune criticità riguardo la composizione e la presentazione.
Peptidi gastrointestinali
In conformità con l’aumento dell’obesità, anche i disordini correlati ad essa sono in aumento: le principali e allarmanti co-morbilità sono il diabete mellito tipo 2 e le malattie cardiovascolari, per cui è divenuto necessario comprendere i sistemi di regolazione e controllo dell’appetito e del metabolismo energetico.
Negli ultimi anni è stato scoperto che molti peptidi prodotti dall’intestino partecipano alla regolazione del bilancio energetico e del peso.
GianniBona, Carla Guidi, Flavia Prodam, della Clinica Pediatrica Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale “A.Avogadro” di Novara, hanno pubblicato su “Pediatria” una interessante rassegna dei principali peptidi oggi studiati:
- Peptidi che derivano dal pro-glucagone = Glucagon-like-peptide 1 (GLP-1).
E’un peptide di 30 aminoacidi che deriva dal precursore del glucagone. E’ espresso e secreto dalle cellule L della mucosa intestinale dell’ileo e del colon.
La sua secrezione è ridotta durante il digiuno ed è aumentata nei periodi post-prandiali in accordo con i livelli circolanti di glucosio. Svolge un ruolo nella mediazione dell’appetito e nel comportamento alimentare.
L’oxintomodulina (OXM) è un altro peptide di derivazione del proglucagone: costituito da 37 aminoacidi prodotto dalle cellule L del piccolo intestino e nel sistema nervoso centrale. Agisce da peptide anoressizzante. - Glucose-dependent. Insulinotropic polipeptide (GIP).
Costituito da 42 aminoacidi, sintetizzato e secreto dalle cellule K della parte prossimale del piccolo intestino. Partecipa alla regolazione del tessuto adiposo con una maggior azione di promotore dello sviluppo del fenotipo obeso. - Peptide YY (PYY) 3-36.
Costituito da 36 aminoacidi della famiglia del NPY e secreto in seguito all’introduzione di cibo dalle cellule L del piccolo e grande intestino, compreso il retto. E’ state definito ad attività anoressante.
I livelli plasmatici aumentano dopo l’assunzione del pasto. La sua somministrazione determina una riduzione della quantità di nutrienti ingeriti e provoca sazietà. - Peptidi derivati dal pre-proghrelin.
Esistono due forme: Ghrelin acilato (AG) e non acilato (UAG).
Costituito da 28 aminoacidi. Recentemente isolato nello stomaco, ma espresso anche in altri tessuti. Entrambe le forme di ghrelin hanno un ruolo nella regolazione dell’assunzione di cibo e del dispendio energetico.L’anoressia nervosa è associata a livelli di ghrelin più elevati, mentre l’obesità a livelli di ghrelin più bassi.
Il lavoro riporta molti commenti,citazioni, e una ricca bibliografia.
Nelle conclusioni gli autori sottolineano che le cellule endocrine del sistema gastro-intestinale si inseriscono in un complesso palcoscenico di modulazioni reciproche, suggerendo come i tessuti periferici influenzino e siano influenzati dal sistema nervoso centrale, in particolare nella regolazione del metabolismo energetico e glicoinsulinemico.
Un’indagine più approfondita potrà offrire interessanti prospettive in termini di prevenzione primaria nel riscontro di associazioni tra alterazioni endocrine, obesità e rischio cardiovascolare e, in particolare, molteplici possibilità terapeutiche che determineranno la necessità di fenotipizzare con maggior attenzione il paziente obeso.
Prioni e proteine
E’ormai accertato che i prioni sono varianti anomale di una proteina cellulare. Si tratta di proteine che tendono ad aggregarsi e a indurre anche la proteina normale ad assumere una conformazione aberrante.
Il fatto che alcune persone si siano potute ammalare in seguito all’ingestione di carne bovina infetta (vedi fenomeno “mucca pazza”) o di trasfusioni di sangue donato da persone asintomatiche, ma già malate, ci dice come i prioni possano comportarsi anche da agenti infettivi, capaci in rarissimi casi di superare le barriere di specie. Per fortuna cervello e midollo spinale (gli organi bersaglio dei prioni) sono ben protette e difficilmente accessibili, per cui queste patologie sono in realtà piuttosto rare.
La variante prionica, con il tempo, prende il sopravvento e si accumula, portando alla morte la cellula nervosa. Se inizialmente il bilancio tra proteine normali e anomale è sostenibile per il neurone (probabilmente a grazie a meccanismi di “pulizia”), con il tempo l’ equilibrio si rompe. Il compito della farmacologia è quello di posticipare il più possibile questo punto di non ritorno, preservando così la sopravvivenza delle cellule nervose.
Un recente contributo rivolto a chiarire i meccanismi con cui i prioni risultano tossici, porta la firma di Roberto Chiesa, ricercatore dell’Istituto “Telethon” Dulbecco presso l’Istituto Mario Negri, che ha dimostrato come l’accumulo della proteina prionica alterata ostacoli il normale trasporto alla membrana cellulare dei canali per lo ione calcio, messaggero chimico essenziale per l’attività neuronale. Lo studio suggerisce un possibile approccio terapeutico futuro, mirato a risolvere i problemi di “traffico” intracellulare generati dall’accumulo di proteine anomale.
Le malattie da prioni che possono colpire l’uomo sono distinte in forme genetiche e in quelle trasmissibili.
Le forme genetiche dipendono da specifiche alterazioni del gene che codifica per la proteina prionica. Questa forma (detta di Gerstmann-Straussler-Scheinker) provoca una progressiva incapacità di coordinare i movimenti e insonnia fatale.
La forma trasmissibile (detta di Creutzfeld-Jacob) è caratterizzata da demenza e disturbi del sistema motorio. Può essere trasmessa per via infettiva anche da specie diverse come i bovini e l’uomo (sin’ora sono stati registrati 200 casi).
Queste patologie hanno in comune una temibile caratteristica: sono silenti e invisibili per diversi decenni, in cui le persone appaiono del tutto sane, ma quando iniziano a manifestarsi evolvono rapidamente. Fabrizio Tagliavini, direttore del dipartimento di malattie neurodegenerative dell’Istituto Neurologico “ Carlo Besta” di Milano dice che lo studio Telethon sull’insonnia fatale familiare potrà fare da apripista anche per altre malattie neurodegenerative più diffuse (esempio quella diAlzheimer).
Il futuro delle carni
Si è svolta a Verona l’Assemblea generale dell’UNICEB, l’Associazione Internazionale e Interprofessionale dei produttori di carne bovina che conta 160 imprese tra le più rappresentative dell’industria agroalimentare italiana, presieduta da Renzo Fossato. Lo scopo dell’assemblea era di far luce su questo settore che conta in Italia 6 milioni di capi allevati.
Il segretario generale Jean Luc Meriaux ha ricordato che la produzione mondiale è dominata dalla carne suina (111,7 milioni /t) e da quella avicola (103 milioni/t) e da un sostanziale stallo delle carni bovine ferme a 67,5 milioni/t e ovine (quasi 14 milioni/t). Le prospettive a lungo termine (da oggi al 2050) sono per una crescita costante e rilevante della domanda di carne, con un aumento del pollame e del suino e una leggera riduzione dell’import-export del bovino. Il consumo mondiale di carne è assestato sui 42,3 pro-capite/ anno. Nei Pesi sviluppati i Kg salgono a 78,9, mentre nei Paesi in via di sviluppo scende a 32,3 Kg/anno.
La produzione europea di carne di tutte le specie animali si attesta sui 53 milioni di tonnellate (16 % della produzione mondiale) con il delinearsi di due tendenze: incremento della produzione di carne avicola e suina, e un calo della produzione bovina e ovina.
Per quanto riguarda i consumi pro-capite, il trend è in leggero calo per tutti i tipi di carne, avicolo incluso con un meno 0,7 % nel 2011. La destrutturazione dei pasti, l’attenzione alla salute, il prezzo (con conseguente calo del potere d’acquisto da parte dei consumatori), hanno determinato una generale contrazione della domanda di carni fresche, ma una crescita ( o stabilità) degli elaborati e dei salumi. A ciò va aggiunta la minor offerta di carni bovine e ovine, oltre ad una domanda estera più concorrenziale rispetto all’Europa che si traduce in un aumento dell’export verso questi paesi.
Il patrimonio bovino nazionale si è ridotto, come conseguenza della revisione delle quote latte, della normativa del benessere animale e dell’ambiente, dei negoziati bi-multilaterali del commercio. Ovviamente nell’ultimo decennio si è delineata una contrazione delle macellazioni.
La situazione è più positiva nell’ambito suinicolo, sia per la macellazione che per la produzione, mentre il patrimonio suinicolo si è contratto.
Il Presidente Renzo Fossato ha ricordato che in Italia la produzione di carne è un lavoro difficile, dato l’handicap della scarsità di pascoli e di vacche nutrici. Diventa assoluta e irrinunciabile la necessità di prevedere un premio specifico per le aziende che allevano e producono carni bovine, anche se siamo consapevoli delle numerose difficoltà esistenti.
Per l’obbligo dell’etichettatura delle carni che andrà in vigore dal Dicembre 2014, l’UNICEB ritiene che si debba prendere in considerazione solo l’origine UE eventualmente integrata, a livello volontario, da quella di“Origine Italia”.
I problemi degli alimenti funzionali
Gli alimenti funzionali, apparsi per la prima volta in Giappone alla fine degli anni ’80, costituiscono ormai un consolidato segmento di mercato con buone potenzialità di crescita nel breve e medio termine. Un’analisi del settore è stata fatta da A. Paiano-G.Camaggio-L.Lobefaro (Facoltà di Economia- Università degli Studi di Bari-Dipartimento Studi Aziendali) e pubblicata sul mensile “Industrie Alimentari”(Maggio 2012).
Nell’ultimo decennio infatti si è registrata una crescita notevole di questo mercato (con un tasso di crescita annuo superiore del 4 % rispetto a quello degli alimenti e delle bevande). Dai quasi 8 miliardi di dollari nel 1999 ha superato i 24 miliardi di dollari nel 2010. Il mercato è dominato dal Giappone (oltre il 38 % del mercato mondiale), dall’Europa (29 %), dagli USA (31 %). Le stime al 2014 prevedono che il mercato mondiale degli alimenti funzionali raggiungerà i 30 miliardi di dollari.
Al rapido e rilevante sviluppo che ha contrassegnato il mercato degli alimenti funzionali non ha fatto seguito un altrettanto importante e indispensabile “iter” della relativa legislazione. L’attuale normativa carente ha facilitato l’impiego del termine “funzionale” per diffondere prodotti che agiscono sulla suggestione del beneficio, piuttosto che apportare quantità significative di principi regolatori. Invece è necessario che ogni correlazione tra ingredienti aggiunti e benefici attesi sia supportata da un’idonea sperimentazione scientifica.
L’assunzione degli alimenti funzionali può non avere gli effetti benefici promessi ed, anzi, in alcuni casi può provocare degli effetti indesiderati, più o meno gravi. Le cause possono essere diverse: un apporto eccessivo degli ingredienti addizionati, un’interazione tra gli stessi e/o con gli altri componenti dell’alimento, la presenza di eventuali residui delle sostanze tossiche utilizzate per l’estrazione e la formulazione degli ingredienti stessi, e soprattutto la diversa risposta biologica di ogni individuo.
La difesa del consumatore inoltre deve riguardare anche l’aspetto economico, perché quasi sempre gli alimenti funzionali hanno un prezzo più elevato, in alcuni casi anche del 30-40 % rispetto agli alimenti tradizionali.
E’ necessario che l’industria incoraggi la ricerca scientifica in questo settore e, allo stesso tempo, permetta e promuova severi controlli da parte delle autorità di vigilanza.
L’Unione Europea ha emanato un provvedimento normativo che regolamenta il settore soltanto nel 2006. Dei circa 44.000 health claim rientranti nell’art. 13 (punto 1) presentati alla Commissione Europea entro il 2010, solo 4.000 sono stati trasmessi all’EFSA (European Foof Safety Authority) per la valutazione, con una previsione di approvazione di circa 1/3.
Gli alimenti funzionali maggiormente interessati alla crescita sono quelli lattiero-caseari (circa il 38 %), i prodotti da forno e cereali (23 %), le bevande (12 %), grassi e oli (8 %), carne, pesce e uova (7 %), soia (6 %).
Gli alimenti maggiormente interessati dalla crescita sono quelli che procurano benefici per l’apparato digerente e cardiovascolare. Negli ultimi anni il mercato è rivolto ad incidere sul sistema immunitario, nervoso e osseo.
Per quanto riguarda gli alimenti e le bevande che migliorano l’aspetto fisico, il mercato è cresciuto del 306 % negli ultimi anni (!), contro un incremento del mercato degli alimenti e delle bevande pari al 35 %.
Eating planet
Il Barilla Center For Food and Nutrition (BCFN) ha presentato il volume “Eating Planet 2012- Nutrirsi oggi: una sfida per l’uomo e per il pianeta- realizzato in collaborazione con il Worldwatch Institute. Il BCFN è nato con l’obiettivo di analizzare e proporre soluzioni concrete, attraverso un approccio multidisciplinare, sui grandi temi legati al cibo e alla nutrizione su scala globale.
Eating Planet 2012 si occupa dei paradossi del sistema alimentare globale, del cibo nella sua valenza culturale, della produzione, del consumo e degli effetti dell’alimentazione sulla salute e sull’ambiente.
Il Presidente Guido Barilla cita nella prefazione alcuni paradossi globali.
Il primo riguarda la coesistenza nel mondo di più di un miliardo di persone che soffrono la fame, a fronte di un numero equivalente che soffre le conseguenze di un eccesso di nutrizione, con gravi malattie metaboliche come, per esempio, il diabete.
Il secondo paradosso è relativo alla presenza sul pianeta di circa 3 miliardi di animali da allevamento. Un terzo della produzione globale alimentare è destinato alla loro nutrizione e le attività di allevamento contribuiscono significativamente ai fenomeni di cambiamento climatico. Infatti si stima che siano responsabili di almeno il 50 % delle emissioni agricole di gas serra.
Il terzo paradosso è legato alla concorrenza tra biocarburanti e cibo. Una quota crescente di terreni agricoli è destinata alla produzione di carburante. Così facendo scegliamo di “far bere” le nostre automobili anziché dar da mangiare a esseri umani bisognosi.
Da questa esigenza di informare, coinvolgere, dibattere, è nato il BCFN.
La complessità dei fenomeni oggetto di indagine ha suggerito di suddividere le tematiche oggetto di studio in quattro macro aree:
L’area “Food for all”affronta il tema dell’accesso al cibo e della malnutrizione per rendere possibile una più equa distribuzione del cibo e favorire un migliore impatto sul benessere sociale, sulla salute e sull’ambiente.
L’area “Food for sustainable growth” approfondisce il tema della sostenibilità della filiera agroalimentare, attraverso un impiego equilibrato delle risorse e una costante riduzione degli impatti negativi sull’ambiente.
L’area “Food for health” ha avviato un percorso di studio del rapporto esistente fra alimentazione e salute.
L’area “Food for culture” cerca di comprendere, descrivere e rendere più significativo il rapporto dell’uomo con il cibo.
Per ogni area sono stati individuati uno o più advisor specifici. Per la prima area: Barbara Buchner (esperta di energia, climate change e ambiente) e John Reilly (economista, esperto di tematiche ambientali). Per la seconda: Mario Monti (Presidente del Consiglio dei Ministri italiano). Per la terza: Umberto Veronesi (oncologo). Gabriele Riccardi (nutrizionista), Camillo Ricordi (immunologo). Per la quarta: Claude Fischler (sociologo).
Il volume “Eating Planet 2012” rappresenta una sintesi di quanto elaborato sino ad oggi dal BCFN e segna un punto del percorso per ragionare su nuovi sviluppi.
I pericoli del miele
L’acquisto del miele da produttori “dilettanti” merita cautela e una particolare attenzione perché anche questo alimento deve essere prodotto da persone che possono garantire di non aver utilizzato farmaci illegali.
Il Corpo Forestale dello Stato ha intrapreso un’azione di controllo per verificare l’uso improprio di prodotti per combattere la varroasi. Le indagini effettuater hanno consentito di individuare la presenza di residui Coumaphos e di Chlorfevinphos in campioni di miele e di propoli. Si tratta di esteri fosforici antiparassitari particolarmente attivi nei confronti dell’acaro “varroa”. L’uso in apicoltura è proibito e quindi si è proceduto all’eliminazione dal commercio delle partite di miele e di propoli contaminate. Anche alcuni campioni di miele “biologico” erano contaminati. I risultati ottenuti dal Corpo Forestale dello Stato indicano che non c’è ancora consapevolezza delle norme che regolano l’uso dei farmaci in questo settore e che tale utilizzazione deve essere eseguita solo dal medico veterinario.
In Italia negli ultimi anni c’è stato un notevole calo di produzione di miele e ciò dipende da una minore disponibilità di territorio a disposizione delle api (le cause sono da ricercare nell’aumento dell’industrializzazione di molte aree, l’urbanizzazione selvaggia, l’aumento dell’agricoltura intensiva). Inoltre è in aumento l’uso di pesticidi in agricoltura che limitano la crescita di piante selvatiche e i periodi di fioritura: occorre ricordare che i pesticidi sono molto tossici anche per le api. Infine sono in aumento le gravi malattie delle api di origine microbica e/o parassitarie (come la varroa) in grado di decimare gli alveari in breve tempo. Per molti apicoltori si tratta di un’attività secondaria e capita sovente che non conoscono le norme di legge riguardanti la possibilità di utilizzare farmaci per curare le api. In questi casi ci si affida spesso all’esperienza di altri apicoltori dilettanti che usano principi attivi proibiti.
Il problema può anche riguardare gli apicoltori professionisti che davanti al dilagare di una malattia non esitano a ricorrere all’impiego di prodotti non consentiti.
Fortunatamente i dati disponibili (www.sicurezza alimentare.it) dimostrano che, per ora, i residui dei due pesticidi citati sono bassi e che il consumo di propoli che generalmente viene fatto non è preoccupante. Rimangono i problemi di tossicità a lungo termine.
Karpòs: nuova cultura dell’alimentazione
I cibi di oggi sono stati ottenuti grazie a studi e innovazioni quasi sempre sconosciuti al grande pubblico grazie alle competenze di agronomi, patologi, microbiologi, botanici, chimici, tecnici, medici, nutrizionisti.
Senza la loro interazione non è possibile nessun miglioramento del virtuoso circuito produzione-alimentazione-prevenzione-salute. Però va anche detto che, senza una buona comunicazione, il “tour de force” dei saperi alleati per migliorare la nostra alimentazione, arrivando ad un pubblico distratto, non avrebbero modo di materializzarsi in stili di vita compatibili e consapevoli.
A partire da queste considerazioni, l’Università di Teramo e Karpòs, il nuovo mensile progettato per dialogare a 360° con i più qualificati esperti del mondo dell’Alimentazione (www.karposmagazine.net) hanno organizzato il 31 Maggio l’evento culturale intitolato “Oltre le bio-illusioni”, con l’obiettivo di diffondere una nuova cultura in questo importante settore della Scienza.
Michele Carruba (Direttore del Centro Studi sull’Obesità dell’Università di Milano) ha presentato i numeri sconvolgenti della cattiva alimentazione. Nel mondo l’11% delle persone sono obese, quindi precarie di salute. Il modo di alimentarsi risulta fondamentale per prevenire il 35-40 % dei tumori i quali, di conseguenza, sono attribuibili alla cattiva alimentazione. Un bambino obeso ha 80 % di probabilità di rimanere tale anche in età adulta. Ci sono cibi che possono proteggerci dalle malattie e altri che possono indurle. Di conseguenza dobbiamo imparare a conoscere meglio ciò che mangiamo. Troppe persone mangiano poca frutta, poca verdura ed eccede nei cibi ricchi di grassi. Possiamo correggere questi errori con la dieta mediterranea che prevede 5 porzioni di frutta e verdura al giorno. Possiamo prevenire molti problemi alimentari con una corretta attività fisica.
Sui prodotti centrali della dieta mediterranea, Luciano Trentini, vice presidente AREFLH (Associazione Regioni Europee Ortofrutticole), ha precisato che noi siamo il Paese che produce più frutta e ortaggi, ma prestiamo poco rispetto alle eccellenze. Ci lamentiamo spesso che la nostra frutta e la nostra verdura è troppo cara. E’ un mito che andrebbe sfatato. Mediamente il costo della frutta al mercato è di 2 euro al Kg. Ogni famiglia ne consuma circa 300 Kg all’anno, vale a dire che investe circa 600 euro, ovvero meno di quanto spende in colazioni approssimative al bar.
Michele Pisante, pro-rettore alla ricerca dell’Università di Teramo, ha ricordato che in Italia abbiamo prodotti di qualità che provengono dalla nostra grande tradizione e risorse, come l’ambiente, patrimonio di tutti, che abbiamo la responsabilità di preservare per le prossime generazioni. Preservare significa soprattutto fare ricerca e formare tecnici all’altezza dei problemi produttivi di oggi.
Paolo Bruni, presidente della Confederazione Generale delle Cooperative Europee, ha precisato che i 127 miliardi di fatturato del settore agro-alimentare nel 2011 sono una eccellente performance, nonostante un trend in lieve calo nel 2011 (-1,5 %) che interrompe una progressione positiva che dal 2000 ad oggi ha visto una crescita del + 10,4 %. Le latenze e le omissioni sulla corretta informazione sono invece inaccettabili. Per esempio, sul cibo biologico, nel recente passato, sono state passate informazioni di dubbia consistenza scientifica, spesso contro l’agricoltura che sfama realmente le persone. Va invece riconosciuto al biologico il merito di aver stimolato una coscienza e una sensibilità che ci ha portato ad integrare l’agricoltura tradizionale con l’ottimizzazione dell’utilizzo della chimica.
Nutrizione e salute R. Pellati - Anno 2012 Numero 2
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Etichettatura dei prodotti per celiaci
Nella dieta della popolazione generale, i cereali contribuiscono alla gran parte del consumo energetico giornaliero in tutti i paesi Europei, e ciò è particolarmente vero per i cereali contenenti glutine. La FAO nel 2002 ha stimato che il 90% dei cereali consumati in Europa sia costituito da grano, orzo, segale e avena e solo il 10% da cereali naturalmente privi di glutine (riso, mais, miglio e sorgo). Quindi è evidente che la diagnosi della celiachia e lʹeliminazione del glutine dalla dieta comportano uno stravolgimento delle abitudini alimentari.
I prodotti “senza glutine” più consumati risultano essere il pane, la pasta, la pizza, i biscotti ed i prodotti da forno e proprio in base all’estesa presenza sul mercato dei prodotti per celiaci etichettati in maniera differente, la Commissione Europea ha ritenuto necessario intervenire con un Regolamento che, a livello comunitario, definisse regole precise per la commercializzazione e medesimi livelli di tutela del consumatore. Nel gennaio 2009 è stato quindi pubblicato il Regolamento CE 41/2009, entrato ufficialmente in vigore dal 1 gennaio 2012, relativo alla composizione e all’etichettatura dei prodotti alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine.