Anno 42/Numero 3

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Rivista : Anno 42/Numero 3

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Vegetarismo: aspetti nutrizionali

L’EUFIC (European Food Information Council) ha ricordato che le diete vegetariane, paragonate alle diete onnivore, tendono ad essere più basse in grassi saturi e colesterolo, ma più alte in fibra, vitamine C ed E, magnesio, potassio e fitochimici, flavonoidi e carotenoidi. Tali diete possono conferire un effetto protettivo verso diverse malattie croniche e possono contribuire ad abbassare i valori del BMI (specialmente nei vegani). Bisogna però notare che il BMI non è sempre un indice di buona salute. Data la natura restrittiva delle diete vegane, la diminuzione del peso corporeo potrebbe essere causata semplicemente da un apporto di cibo ridotto e/o monotono.
I benefici cardiovascolari per un basso contenuto di carne possono essere derivati da profili lipemici migliori e da valori inferiori di pressione ematica, così come gli effetti benefici di certi fitochimici sulla funzione cardiovascolare.
I vegetariani rischiano meno di sviluppare il diabete di tipo 2 rispetto a chi mangia carne e in particolare quella lavorata ( pancetta, prosciutto, salame) e migliorano il controllo della glicemìa nelle persone già colpite. Traggono beneficio anche le sindromi metaboliche.
Vale la pena sottolineare che il rischio di malattie correlate alla dieta è minimo con un apporto ben bilanciato di cibo (con o senza carne). Pertanto gli studi sugli aumenti del rischio per una certa malattia provocata dal mangiare alimenti di origine animale specifici devono essere considerati con  attenzione. Spesso sono presentati come “rischio relativo” (esempio: le persone che mangiano 100 g al giorno di carne rossa o 50 g di carne lavorata) quelli con circa il 20 % di rischio maggiore di sviluppare tumori intestinali rispetto a chi non mangia alcun tipo di carne.
Se ipotizziamo che chi non mangia carne rossa o lavorata ha un “rischio assoluto” durante l’arco della vita  di contrarre tumori intestinali del 5 %, questo rischio aumenta al 6 % se questa persona inizia a mangiare rispettivamente da 100 a g 50 g al giorno di carne rossa o lavorata.
Mentre una dieta totalmente priva di carne potrebbe non essere appropriata  a chiunque, rinunciare alla carne uno o più giorni alla settimana potrebbe essere un approccio per quelli che desiderano  semplicemente ridurre l’apporto totale.
Il World Cancer Research Fund raccomanda attualmente alle persone di mangiare meno di 500 g di carne rossa alla settimana. Mangiare pesce piuttosto che carne (nel contesto di modelli alimentari ricchi di verdure, frutta e prodotti a base di cereali) potrebbe costituire un’altra opzione associata a benefici per la salute (esempio: dieta mediterranea). I nutrienti più critici a tal riguardo sono la vitamina B12, vitamina D, il calcio, il ferro, lo zinco e gli acidi grassi omega-3 EPA e DHA.
Per chi vuole mangiare meno alimenti di origine animale o eliminarli del tutto, è necessaria un’attenta pianificazione dei pasti per assicurarsi che le necessità nutrizionali non vengano compromesse.
La vitamina B12 è uno dei nutrienti più critici per i vegani, per cui possono utilizzare gli integratori o affidarsi ad estratti di lieviti di birra.
La soia, nelle sue varie forme (fagioli organici, tofu) è un’utile aggiunta alla dieta vegetariana per l’apporto proteico e per il ferro coniugato alle proteine. Anche i legumi costituiscono fonti altrettanto valide. Gli EPA possono essere sintetizzati anche in quantità sufficiente se il precursore acido alfa-linolenico (ALA) viene fornito attraverso la dieta (frutta secca oleosa).
 

Rame e Alzheimer

24 milioni di individui nel mondo sono affetti da demenza, il 70 % dei quali è colpito dalla malattia di Alzheimer. Una ricerca innovativa è stata presentata all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, frutto di 10 anni di studi, sul ruolo del rame nello sviluppo della malattia suddetta.
I ricercatori dell’Associazione Fatebenefratelli per la ricerca (AFar) guidati da Rosanna Squitti, hanno dimostrato che nella demenza di Alzheimer esiste una relazione tra declino cognitivo e livelli di rame “libero” presente nel sangue, ossia quella quota di rame circolante non legato alla proteina che normalmente lo trasporta, la cerulo plasmina (rame non ceruloplasminico). Livelli eccessivi di questo tipo di rame sono tossici e aumentano il rischio di essere colpiti da Alzheimer.
Questo tipo di anomalia, se rilevata per tempo, aiuta anche a meglio identificare quei casi pre-sintomatici (i cosidetti Mild Cognitive Impairment = MCI) che hanno un elevato rischio di sviluppare la malattia nei successivi 5-6 anni. Infatti nel gruppo preso in esame e seguito per 6 anni, mentre gli MCI con rame normale avevano circa
 il 20 % di probabilità di progredire in Alzheimer, in quelli con  rame elevato tale probabilità saliva oltre il 50 %.
Il metodo messo a punto da Rosanna Squitti era però tipicamente un test di laboratorio, molto utile per la ricerca, ma poco utilizzabile come test clinico su larga scala.
Di recente Canonx4drug (società Italiana di ricerca nel campo biomedico) in collaborazione con l’AFaR ha sviluppato C4D, un test innovativo in grado di misurare la quantità di rame non-ceruloplasminico in circolo, con rapidità, alta precisione, replicabilità, analizzato per mezzo di una sonda fluorescente che emette dei segnali; il cambiamento di emissione è proporzionale alla quantità di rame non cerulo-plasminico presente nel campione.
Tale test è già operativo presso il Policlinico Gemelli di Roma, ma sarà reso disponibile in molti altri ospedali e centri che si occupano di Alzheimer. L’interesse verso questo nuovo “Killer” deriva anche dal fatto che, a differenza di altri fattori di rischio, può essere normalizzato, grazie ad un intervento terapeutico che i ricercatori stanno mettendo a punto.

Sub-carenze sommerse

Un’indagine GfkEurisco rivela che più di 7 italiani su 10 (8 nella fascia over 50) reputano di seguire un’alimentazione sana ed equilibrata, e oltre l’80 % dichiara di aver adottato almeno un comportamento salutistico nell’ultimo anno, ponendo, in  particolare, attenzione al cibo: oltre il 50 % si impegna a mangiare in modo vario ed equilibrato, mentre il 66 % (quota che sale al 73 % nella popolazione over 50) cerca di evitare gli eccessi più rischiosi per la salute, per esempio riducendo zuccheri solubili, sale, grassi, alcool.
Approfondendo però l’intervista attraverso l’analisi della composizione del menù quotidiano, si nota che la maggioranza non riesce a rispettare le dosi raccomandate necessarie per assicurare all’organismo l’assunzione di tutti i nutrienti essenziali per la promozione della salute e del benessere.
Per esempio la frutta e la verdura non mancano quasi mai dalla tavola degli italiani, ma il loro consumo si attesta, nella maggioranza dei casi, su quantitativi minimi e spesso non sufficienti a garantire l’apporto di vitamine e sali minerali. Solo il 15 % circa della popolazione riesce a introdurre nella propria dieta giornaliera il corretto apporto consigliato dall’O.M.S., pari ad almeno 5 porzioni, mentre il consumo medio è limitato a 3 porzioni.
Esiste inoltre una scarsissima consapevolezza che queste abitudini alimentari siano inadeguate rispetto al fabbisogno nutrizionale: il 70 % circa degli intervistati ritiene di non dover aumentare la quantità di frutta e verdura assunta giornalmente perché la ritiene già sufficiente, quasi 7 italiani su 10 non sono a conoscenza di quale sia il consumo di frutta raccomandato e, tra coloro che dichiarano di conoscerlo, solo poco più del 10 % indica correttamente le 5 porzioni. Questo basso livello di percezione di un possibile problema di carenza, trova un riflesso anche nei dati di consumo degli integratori alimentari. Ben 7 italiani su 10 dichiarano di non averli utilizzati nell’arco degli ultimi 12 mesi e oltre il 60 % di questi indica, tra le motivazioni del mancato consumo, di non ritenersi a rischio di deficit nutrizionali.
Michele Carruba (Università degli Studi di Milano) sottolinea che, dietro a questa fotografia della situazione, può profilarsi un problema di sub-carenze. Oggi le carenze nutrizionali gravi e conclamate sono superate (xeroftalmia, scorbuto, pellagra, beri-beri) mentre sono attuali le manifestazioni sub-cliniche dovute alle carenze suggerite dall’indagine. Livelli sub-ottimali di micronutrienti essenziali come vitamine e minerali rientrerebbero nei fattori di rischio per alcune malattie croniche nella popolazione adulta e anziana, quali obesità, ipertensione arteriosa, malattie cardiovascolari e metaboliche, diabete di tipo 2, cataratta, degenerazione maculare senile, demenza senile, osteoporosi, alcun e neoplasie.
Di conseguenza anche le carenze lievi, soprattutto se durature nel tempo, non devono essere trascurate e vanno risolte prima che sfocino in disturbi più seri. Ed ecco perché l’integrazione multivitaminica-multiminerale può offrire un aiuto importante specialmente in quei soggetti che, anche inconsapevolmente, non riescono a seguire una dieta corretta e completa. Il dietologo, il nutrizionista, il medico di medicina generale, il farmacista, l’oncologo, l’oculista, il geriatra, il ginecologo, sono interlocutori chiave nella promozione dei messaggi di educazione alimentare per un uso appropriato e consapevole degli integratori alimentari.

Street food

La FAO stima che oggi circa 2,5 miliardi di persone si nutrano per strada e con il termine “Street food” si indica un’ampia gamma di cibi pronti da mangiare e da bere venduti in locali pubblici, ma soprattutto in strada: a Newyork ci sono i carrettini di Hod-dog, a Instabul i chioschi di Kebab, a Parigi le creperie sui boulevard, In Italia si va dalla pizzeria ai carrettini di castagne arrosto. Possiamo dire che lo street food rappresenti una valida alternativa al “fast-food”, ma in realtà questa forma di ristorazione appartiene a civiltà ben più remote.
Le strade dell’antica Roma erano punteggiate dalle “tabernae” che offrivano ai clienti meno abbienti: salsicce, carne bollita, lardo e prosciutto sa prezzi diremo popolari. Nel Medio Evo la ristorazione di strada si espanse conseguentemente all’incrementarsi dei pellegrinaggi e degli scambi commerciali. Dalla ristorazione delle “stazioni di posta” nacquero le mense e i refettori, sino alla ristorazione autostradale attuale finalizzata a soddisfare le richieste alimentari di breve durata. Su questo tema legato alla storia della gastronomia, e alla storia della Scienza dell’Alimentazione, Clara e Gigi Padovani hanno dato alla luce un volume interessante : “Street Food all’italiana” (Giunti editore- 190 pagine- euro 14,90) ricco di notizie sui soggetti che mantengono vivo un mestiere tramandato di generazione in generazione. Oggi anche la ristorazione mobile è soggetta a controlli e pratiche (esiste l’obbligo SCIA- Segnalazione Certificata Inizio attività ), e le Camere di Commercio segnalano che nel 2009 erano scritte al registro delle imprese della ristorazione ambulante ben 563 aziende che sono triplicate nel 2012, arrivando a quota 1665. Esiste anche l’associazione culturale “Street food” (fondata da Massimiliano Ricciarini) che, oltre a valorizzare il cibo di strada come elemento basilare della moderna civiltà alimentare intende organizzare programmi di cultura per gli operatori del settore per ridurre i rischi degli alimenti venduti sulla strada dal punto di vista igienico sanitario.
Il volume “Street Food all’italiana” consente di conoscere non solo la storia e le ricette caratteristiche delle regioni italiane (dalla piadina romagnola al “pani ca’meusa palermitano, dal lampredotto di Firenze ai “cicheti” veneti, dalla panissa genovese al castagnaccio toscano, alla“ schisceta milanese”,  per citarne solo alcuni), ma anche le dosi degli ingredienti, per cui è possibile una valutazione delle calorie e dei principi nutritivi.
Molte persone non tengono conto delle ingestioni fatte fuori casa durante il giorno per cui alla sera ripetono dosi esagerate di cibi già gustati a mezzogiorno, senza variare la dieta in modo equilibrato. I cibi di strada vanno conosciuti e considerati perché in futuro saranno sempre più numerosi: lo impone il moderno stile di vita e i problemi di “low-cost” relativi alla situazione economica attuale.

Novità per l’intolleranza al lattosio

La predisposizione all’intolleranza al lattosio si può scoprire con un semplice test predittivo in forma di tampone buccale disponibile in farmacia dal 2014. Il kit presentato a Milano (Lactease DNA) contiene il tampone per eseguire l’auto-prelievo da parte del paziente e prevede l’invio del campione di saliva al laboratorio di analisi, direttamente o tramite il farmacista.
Il team di genetisti della “G&life” (team multidisciplinare di Genetisti, Biologi, Nutrizionisti che opera all’interno dell’Area Science Park di Trieste coordinato da Paolo Gasparini) effettua l’analisi del gene della lattasi (l’enzima coinvolto nell’intolleranza al lattosio) e successivamente consegna i risultati e l’interpretazione di un genetista.
La diagnosi di intolleranza al lattosio (i dati di letteratura indicano che circa il 50-60 % degli italiani soffre di questo disturbo) si basa principalmente su metodi non invasivi: il test del respiro all’idrogeno (breath test) è quello sin’ora più diffuso, ma presenta alcuni limiti perché solo pochi bambini riescono ad eseguirlo. Il nuovo test invece consente di chiarire i casi dubbi in cui sono presenti sintomi come gonfiore e crampi addominali, nausea, cefalea, brontolii intestinali, flatulenza, stanchezza cronica, di solito attribuiti a colite da stress.
Edoardo Savarino (Università degli Studi di Padova) precisa che l’intolleranza al glucosio può essere primitiva (deficit congenito di produzione di lattasi), o secondaria (età prescolare-scolare di solito transitoria post-infettiva  che regredisce in 3-4 mesi). Nell’Europa del Nord la prevalenza è del 10-20 %, con aumento progressivo spostandosi verso il Sud, tanto che nel Sud Italia si può arrivare anche al 10-20 %.
Elisa Marabotto (A.O. Universitaria San Martino di Genova dice che l’unica cura possibile consiste nell’eliminazione o nella riduzione del lattosio dalla dieta. Ma una più pratica e semplice alternativa è rappresentata dall’utilizzo di integratori alimentari a base di lattasi. Infatti eliminare il lattosio dalla dieta non è semplice, dato che il lattosio è presente anche come additivo negli alimenti e nei farmaci: addirittura in più del 20 % dei farmaci che richiedono ricetta medica e nel 6 % circa di quelli da banco. oltre agli integratori.
Enrique Hausermann, Amministratore Delegato dell’azienda farmaceutica Crinos si è detto orgoglioso di presentare un progetto che dimostra come questa punta di lancia della ricerca consenta nuovi e approcci  a disturbi che colpiscono milioni di persone. Di solito siamo abituati a considerare le ricerche in campo genetico come qualcosa di importante, ma quasi sempre distanti dai bisogni di salute quotidiani.
 

Nutrizione e salute R. Pellati - Anno 2013 Numero 3

Rivista : Anno 42/Numero 3
Autori/Authors : Pellati R.

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Sicurezza alimentare: sistema di autocontrollo e HACCP

Rivista : Anno 42/Numero 3
Autori/Authors : Sciarroni M.

Riassunto
Lo scopo primario della legislazione alimentare è quello di garantire il massimo grado di tutela dei consumatori, con particolare riguardo alla sicurezza e alla salubrità dei prodotti. A tale proposito negli ultimi anni sono stati introdotti svariati obblighi nei confronti delle imprese e di tutti gli operatori del settore. Le novelle normative hanno interessato il sistema dei controlli, della rintracciabilità, senza trascurare il tema della trasparenza, della formazione del personale e dell’informazione dei consumatori.
In tema di controlli risulta pacifica l’importanza dell’introduzione dell’obbligatorietà del sistema dell’autocontrollo, basato sui principi dell’HACCP (hazard analysis and critical control points).
Siffatto sistema ha mutato profondamente l’approccio nei confronti di tale tematica, non a caso è stato definito come una vera e propria rivoluzione copernicana. Attraverso lo stesso si è attuato il passaggio da un tipo di controllo “a valle” del processo produttivo, incentrato sul prelievo e sull’analisi del prodotto finito e sull’applicazione di sanzioni in caso di irregolarità e di violazioni, a un tipo di controllo autoregolamentato dagli operatori, ovvero “preventivo” e “documentato” che investe tutti i soggetti coinvolti nelle varie fasi del ciclo produttivo. Gli operatori, pertanto, devono assicurare che ogni stadio della lavorazione sia sottoposto alla loro diretta supervisione. Ciò ha comportato l’assunzione di numerosi oneri da parte degli operatori medesimi, sancendo, così, il principio di autoresponsabilità in capo agli stessi. Del pari, si precisa che non viene abbandonato l’ambito dei controlli ufficiali, ai quali sono demandati i compiti di sorveglianza dell’attività produttiva e di quella distributiva delle imprese con ispezioni e con verifiche mirate, con audit nonché con esami delle documentazioni aziendali e dei relativi piani di autocontrollo.
Il presente lavoro ha analizzato le fonti normative comunitarie e nazionali seguendone l’evoluzione giuridica e delimitandone il campo di applicazione.

Organismi geneticamente modificati: aspetti giuridici

Rivista : Anno 42/Numero 3
Autori/Authors : Toti E.

Per organismo geneticamente modificato (OGM) si intende un organismo, diverso da un essere umano, quindi un batterio, pianta o animale, in cui il materiale genetico (DNA) è stato modificato in un modo differente da quanto avviene in natura, con l’accoppiamento e la ricombinazione genetica naturale.
In testa alla lista dei paesi che fanno uso di questa tecnologia ci sono gli USA, seguiti da vari paesi dell’America Latina, dall’Australia e dalla Cina, paesi in cui l’elevata estensione della superficie, rende possibile l’applicazione del principio di coesistenza, che è il principio che regola attualmente in Europa la possibilità di coltivare gli OGM e che ammette la possibilità in contemporanea di poter continuare a coltivare con metodo tradizionale i vegetali. Le modifiche genetiche per le quali sono stati riconosciuti dei brevetti, sono principalmente la resistenza contro l’uso dei diserbanti e la resistenza contro determinati parassiti. L’OGM più diffuso è quello legato alla protezione dalle piralidi del mais, responsabili della perdita del 9% della produzione complessiva del cereale, posto che nel mais sia stata inserita la tossina Bt (bacillus thuringensis), che è letale per le piralidi.
Gli OGM costituiscono oggi uno degli elementi di più importante ed attuale riflessione, in particolare per quanto riguarda i profili giuridici.

Analisi simultanea delle isoforme della vitamina E in campioni alimentari tramite cromatografia liquida-spettrometria di massa

Rivista : Anno 42/Numero 3

Riassunto
Lo scopo del presente lavoro è la determinazione simultanea delle isoforme della vitamina E (tocoferoli e tocotrienoli) in matrici alimentari tramite cromatografia liquida accoppiata a spettrometria di massa.
Il metodo è stato applicato a campioni di origine vegetale (pistacchio, margarina) e di origine animale (carne di maiale fresca e trasformata). Le otto isoforme della vitamina E sono state identificate e quantificate in tutti i campioni analizzati, l’alfa tocoferolo era il più abbondante nelle carni e nella margarina, mentre nel pistacchio era maggiormente presente il gamma tocoferolo. Il metodo di analisi utilizzato si è rivelato adatto alle matrici alimentari in termini di riproducibilità, precisione e rapidità.

Abstract
The aim of the present study was to simultaneously determine the vitamin E isoforms (tocopherols and tocotrienols) in foodstuffs. The method was applied to vegetable (pistachio, margarine) and animal food samples (raw and cured pork meat).
The eight vitamin E isoforms were found in all the samples analyzed, alpha-tocopherol was the most abundant isoform in raw and cured meat, and margarine, whereas gamma-tocopherol was the main vitamin E constituent in pistachio raw nuts. The proposed LC–MS/MS method was found to be suitable to foodstuffs analysis, in terms of reproducibility, precision and quickness.

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