Anno 45/Numero 3

Rischi alimentari emergenti

Giovanni Ballarini, docente all’Università di Parma e Presidente emerito dell’Accademia Italiana della Cucina, ha evidenziato nel periodico dell’Accademia dei Georgofili un argomento di grande attualità: la sicurezza degli alimenti che vede la comparsa di nuovi rischi. Infatti non è sufficiente il pur necessario sistema di ispezioni, controlli e analisi dei contaminanti e additivi, ma occorre avere dati con misure affidabili, comparabili e condivisi in campo internazionale secondo quanto stabilisce la “scienza della misurazione” o “metrologia”. La “metrologia alimentare” è un’area di ricerca emergente per eseguire secondo il Sistema Internazionale misure tracciabili di sostanze, costituenti e contaminanti presenti negli alimenti, con  standard di qualità, metodi analitici validati, protocolli di campionamento e determinazione dell’incertezza di misura, per garantire qualità, sicurezza e provenienza degli alimenti. Si tratta di un compito molto impegnativo ancora all’esordio in molti settori: basta pensare agli alimenti complessi di produzione industriale, costituiti da decine di matrici diverse che possono interferire sui processi analitici. E’ difficile compilare una lista dei rischi alimentari emergenti perché hanno origine dagli ambienti agricoli, rurali, urbani e comprendono una quantità di molecole usate in campo farmaceutico, agricolo (fitofarmaci, agro farmaci), industriale, tensioattivi, nano materiali, ritardanti di fiamma, cura personale e della casa, profumi e altro. Diverse ricerche dimostrano la presenza negli alimenti (soprattutto pesci) di di composti perfluorati (PFC) e in particolare il perfluo-rottano sulfonato (PFSO) e l’acido perfluo-rottanoico (PFOA) largamente usati dall’industria nei polimeri plastici, carta, fibre tessili, pellame, cosmetici, di comune uso casalingo come gli imballaggi alimentari e gli smacchianti dei tessili. Un’altra area di rischi alimentari emergenti deriva dall’individuazione negli alimenti di molecole usate nella cura personale: agenti microbici, disinfettanti, antitraspiranti, conservanti, filtri di creme solari. Per i contaminanti emergenti le molecole coinvolte sono state testate e valutate nello loro condizioni primarie d’impiego, ma senza considerare le successive fasi di una loro persistenza ambientale e soprattutto dell’introduzione nella catena biologica degli ecosistemi e sui possibili rischi alimentari. Ecco perché la metrologia ha un ruolo determinante e in futuro avrà un  grande sviluppo.

Olio di palma: l’ingrediente più discusso

In questi ultimi mesi si sono verificati innumerevoli interventi dei “media” (quotidiani, periodici, radio. TV) in merito all’impiego dell’olio di palma nei prodotti alimentari forniti dall’industria. Indubbiamente l’olio di palma è un prodotto interessante perché, secondo le stime del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, verrà prodotto nel 2016 – 2017 in 64,5 milioni di tonnellate (Italia: circa 400.00 tonnellate).  L’olio di palma infatti aiuta a preservare il gusto del prodotto durante l’intera vita del medesimo grazie alla superiore resistenza all’ossidazione rispetto ad altri oli. Inoltre può essere utilizzato deodorizzato in una gran varietà di alimenti senza alterarne il gusto, e grazie al suo sapore neutro, non copre il sapore degli altri ingredienti, come ad esempio il latte, il cacao, le nocciole. Se ne possono separare diverse frazioni liquide e solide, per soddisfare differenti requisiti di consistenza (morbida, cremosa, croccante). Infine è considerato l’alternativa primaria ai grassi idrogenati contenenti acidi grassi “trans” ritenuti nocivi alla salute umana. All’olio di palma non può essere attribuito nessuna particolare effetto negativo che sia scientificamente provato se assunto da individui sani all’interno di una dieta bilanciata. L’Istituto Superiore di Sanità sostiene che “ non ci sono evidenze dirette nella letteratura scientifica che l’olio di palma, come fonte di acidi grassi saturi, abbia un effetto diverso sul rischio cardiovascolare rispetto agli altri grassi con simile composizione percentuale di grassi saturi e mono/polinsaturi. Sono i regimi dietetici e non i singoli cibi o ingredienti che hanno significato: infatti sia la Dieta Mediterranea che lo Studio dietetico in Germania, Austria, Svizzera (definito DASH) sono entrambi modelli dietetici con un effetto positivo sulle malattie cardiovascolari. Roberto Menta, direttore del Dipartimento Nutrizione e Sostenibilità “Soremartec” della Ferrero, dichiara che l’olio di palma utilizzato dall’azienda suddetta proviene solo da frutti spremuti freschi ed è lavorato a temperature controllate. E’ vero che l’olio di palma contiene naturalmente una quantità di precursori dei contaminanti termici maggiore rispetto ad altri olii e grassi, però è dimostrato che non è la materia prima in sé che ineluttabilmente sviluppa tali contaminanti, ma sono fattori condizionanti la qualità dei processi industriali e la cura della selezione della materia prima. Secondo l’EFSA (Agenzia Europea per la Sicurezza degli Alimenti) alcuni contaminanti termici (2MCPD – 3MCPD – GE) sono presenti in un’ampia gamma di cibi (pane, latte formulato per i lattanti) e in maggior quantità negli oli vegetali portati ad alta temperatura durante i processi di trasformazione alimentare. Questi contaminanti si formano in quantità rilevanti quando l’olio viene portato oltre i 200 gradi. L’Azienda Ferrero invece è riuscita a mettere in atto una raccolta accurata del frutto di palma (praticando sterilizzazione e trattamento al vapore) una spremitura in tempi brevi e un processo di lavorazione a basse temperature per cui riesce ad ottenere un olio con livelli di contaminanti compatibili con le nuove raccomandazioni EFSA. Va sottolineato anche il fatto che l’olio ottenuto proviene da coltivazioni definite “sostenibili” dalle organizzazioni tipo RSPO, che rappresentano i diversi attori coinvolti nell’industria ( produttori, trasformatori, aziende manifatturiere, grande distribuzione, banche, investitori, ONG sociali e ambientali). L’olio certificato RSPO è tenuto fisicamente separato da quelli non certificati attraverso una catena di approvvigionamento lunga e complessa che però fornisce un livello di tracciabilità assicurato. La WWF ha dichiarato che la sostituzione dell’olio di palma con olii alternativi richiederebbe maggiore terra coltivabile con conseguente incremento della deforestazione e perdita di biodiversità.

La dieta “lactose free”.

Il deficit dell’enzima “lattasi” in Italia è segnalato nel 40 % circa dei casi della popolazione, con un andamento crescente dal Nord verso Sud. I test specifici sono il “breath test” e il “test genetico”. Tuttavia sono numerose le persone che si autoconvincono di essere intolleranti al lattosio seguendo indicazioni “pseudoscientifiche” (internet, pubblicazioni pubblicitarie, esperti non qualificati). In realtà il motivo primario della perdita dell’enzima lattasi è genetico, però ci sono forma secondarie causate da danni acuti (virus) o cronici relativi alla mucosa intestinale (celiachia, morbo di Crohn), terapie antibiotiche protratte, dieta scorretta con alterazioni della flora batterica intestinale. Si tratta di intolleranze dovute ad una mancanza “relativa” della lattasi, definite “borderline. Infatti la maggior parte degli intolleranti riesce ad assumere un certo quantitativo di lattosio senza presentare disturbi. L’Autorità Europea per la sicurezza alimentare ha definito che il limite è di circa 12 grammi di lattosio, in un’unica assunzione pari a un bicchiere di latte. Con un apporto doppio, i sintomi si manifestano chiaramente. Seguire una dieta “ fai da te “ senza lattosio, può incidere negativamente sulla salute soprattutto per quanto riguarda la carenza di vitamina D  e di calcio, essenziali per il tessuto osseo. Inoltre può ridurre la concentrazione nel colon di sostanze con azione antiinfiammatoria e acidificante sull’ambiente intestinale, utili per stimolare la flora batterica acidofila “buona”. I problemi relativi all’intolleranza al lattosio sono stati affrontati dal periodico-newsletter di Assolatte “L’attendibile”, diretto da Adriano Hribal (con la consulenza delle nutrizioniste Samantha Biale e Carmen Besta) il quale sottolinea come il mercato del latte delattosato in questi ultimi 5 è cresciuto del 38 % e nell’ultimo anno del 13,5 %. Nell’universo lattiero-caseario ci sono però anche prodotti naturalmente a basso contenuto di lattosio e quindi più tollerati come yogurt e latti fermentati in cui i batteri-lattici hanno un’azione pre-digestiva. Il grado di tolleranza è diverso da individuo a individuo. Ci sono poi i prodotti caseari completamente privi di lattosio come i formaggi a lunga stagionatura, ad esempio Grana  Padano e Parmigiano Reggiano, in cui il processo di stagionatura porta il lattosio a livelli prossimi allo zero. Riconoscerli ora è diventato più semplice perché la loro peculiarità può essere riportata sulla confezione, infatti il Ministero della Salute ha recentemente dato il via libera a 2 nuovi claims:

  1. Naturalmente privo di lattosio quando il residuo di lattosio è inferiore a 0,1 g /100g.
  2. Naturalmente a ridotto contenuto di lattosio quando il tenore residuo di lattosio è inferiore  a 0,5 g /100g.

 

Risultati dalla nutraceutica

Valeria Fieramonte (UGIS – Unione Giornalisti Italiani ad indirizzo scientifico) riporta i risultati presentati a Milano nel workshop che si è tenuto al Padiglione Italia dell’EXPO, segnalati dalla SINUT (Società Italiana di Nutrizione), relativi all’uso di alcuni integratori alimentari in determinate patologie. Cesare Sirtori, Presidente della SINUT, sottolinea che il numero di molecole che si rivelano efficaci in diverse patologie è in continua crescita e recentemente è stato segnalato un risultato sorprendente nell’autismo, un problema sanitario molto grave: oggi nasce un bambino autistico ogni 68 nascite, e nei bambini con parto cesareo l’incidenza è addirittura doppia. Una delle cause della maggior frequenza nei parti cesarei potrebbe essere un alterato microbioma del neonato dovuto all’uso di antibiotici durante il parto che impediscono alla madre di trasferire al neonato dei batteri intestinali sani, come avviene di frequente nel parto naturale. All’Università di Harvard (USA – Boston) un gruppo di ricercatori ha somministrato ad adulti autistici del “sulfarano” ottenuto dai broccoli, con risultati degni di nota e inattesi. Altri settori in cui l’azione degli integratori alimentari si è dimostrata efficace riguarda l’ipertensione. Da oltre 10 anni il cioccolato amaro è noto come adiuvante per la pressione alta , grazie ai “flavanoli”per la loro efficacia sul tono delle arterie. Sempre ad Harvard è stato effettuato uno studio (Cosmos Trial) su 18 mila persone a rischio cardiovascolare e si è visto che nei consumatori di flavanoli il rischio di complicanze si riduce del 12 % con miglioramenti anche del tono muscolare. In alcune nazioni infatti (esempio: Svizzera) sono disponibili tavolette di cioccolato ricche di flavanoli, senza particolari effetti collaterali. Molto sorprendente anche il caso della melatonina (di solito impiegata per il jet-lag nei viaggiatori) utilizzata anche nell’Alzheimer per normalizzare il ritmo del sonno durante il giorno e la notte. Ci sono anche altre molecole promettenti come l’astaxantina, la luteina, nelle patologie oculari per prevenire le complicanze della degenerazione maculare. La “nutraceutica” è un neologismo coniato nel 1990 dal farmacologo americano Stephen De Felice unendo i termini “nutrizione” e “farmaceutica”. Sta ad indicare i componenti alimentari e i principi attivi negli alimenti che determinano effetti positi sulla salute. L’Agenzia Europea che ha sede a Parma per la sicurezza alimentare (EFSA) ha anche il compito di verificare la validità dei nutraceutici. L’Italia guida un importante progetto chiamato “Plantlibra) per migliorare le conoscenze sull’uso delle piante medicinali. Il settore, nonostante la crisi, è in continua espansione: in Italia è aumentato del 7 % e occupa diecimila addetti.

Aloe vera: proprietà e cautela

Da un’indagine recente svolta in Italia nell’ambito del progetto Europeo PlantLIBRA, l’Aloe Vera risulta essere il primo ingrediente utilizzato, di origine vegetale, negli integratori più richiesti dai consumatori. Tuttavia i principi attivi dei suoi estratti possono avere degli effetti collaterali e controindicazioni per alcune categorie di persone. La prima testimonianza sull’uso dell’aloe vera risale a 2200 anni fa, con descrizioni di proprietà benefiche e curative. In Mesopotamia, un geroglifico sumero la descriveva come un efficace lassativo. Si tratta di una pianta della famiglia delle Aloaceae (Aloe barbadensis Miller) a foglia verde e carnosa, originaria dei climi caldi e secchi dell’Africa. La sua fama è giunta a noi attraverso secoli e diverse civiltà  (Egitto, Grecia, Cina, India). La commercializzazione dei suoi estratti per usi salutistici e alimentari è iniziata nel 1970 a partire dagli Stati Uniti. Francesca De Vecchi sul periodico “Farmacista 33” aggiorna le conoscenze attuali su questo tema facendo presente che i responsabili delle proprietà che vengono attribuite all’aloe vera (non tutte comprovate) sono i numerosi componenti attivi (quasi 200), fra cui lunghe catene di mucopolisaccaridi e monosaccaridi (glucosio e mannosio), con proprietà gastroprotettive, stimolanti del sistema immunitario e cicatrizzanti, sostanze di origine steroidea con proprietà antiinfiammatorie, vitamine, minerali, acidi organici, fitosteroli, sostanze ad azione ormonale (contenute nel gel) e infine sostanze antrachinoniche  responsabili dell’effetto lassativo (aloina A e B). Il gel impiegato in molti rimedi ad uso topico non presenta controindicazioni, sebbene siano possibili reazioni allergiche. In generale l’uso di aloe dovrebbe essere sempre consigliato da esperti, soprattutto in alcuni casi come gravidanza, allattamento (rendono amaro il latte materno) in concomitanza di farmaci specifici, diabete (abbassa l’indice glicemico), morbo di Crohn, coliti e ulcere. Sono controindicati per chi fa uso di farmaci diuretici o cortisonici poiché possono causare ipokaliemia. I glucosidi antrachinonici sono molecole efficaci che stimolano la secrezione di liquidi nel lume e la motilità intestinale, ma possono agire anche da irritanti della mucosa: vanno quindi usati a partire dall’estratto essicato di “aloe vera” in dosaggi minimi per la produzione di lassativi. Quindi nell’assunzione di “aloe vera” è importante seguire la posologia indicata e consultare il medico nel caso di contemporanea assunzione di farmaci specifici con cui possono interferire o di cui possono ridurne l’assorbimento dato che si verifica frequentemente un’alterazione del transito intestinale.
 

L’importanza del colore dei cibi

I colori insoliti degli alimenti colpiscono l’immaginazione e secondo le credenze popolari, possono assumere valenze di vario tipo: prodigiose, miracolose, pericolose, religiose. Il pomodoro, per esempio, arrivato in Italia dopo la scoperta dell’America,
venne accolto come il frutto di una pianta esotica, decorativa, da appartamento per le famiglie benestanti ( ma per 2 secoli fu evitato come alimento) perché il colore rosso suscitava dubbi  e preoccupazioni per la sua salubrità nell’utilizzo alimentare.
 Nel 1544 l’erborista senese Pietro Andrea Mattioli  definì il pomodoro “mala aurea”, mela d’oro (aveva preso in considerazione una varietà giallastra). Fu considerata una varietà della melanzana, anch’essa ritenuta velenosa,  perché si temeva l’annerimento che assume la polpa bianca dopo il taglio: lo diceva anche il nome “ melanzana “ cioè “mela non sana”, in un certo senso “pericolosa”. Oggi si sa che l’annerimento (simile a quanto avviene per altri frutti) è dovuto ad un enzima , polifenolossidasi, che viene attivato dopo il taglio o l’ammaccatura.
L’impiego del pomodoro nella realizzazione della pizza è infatti relativamente recente: 2 Giugno 1889, per opera del pizzaiolo Raffaele Esposito il quale utilizzò questo ortaggio in onore della Regina Margherita, moglie di Umberto I, per festeggiare la visita a Napoli dei reali. Prima della “Pizza Margherita” infatti a Napoli si gustava la pizza “bianca” con pasta di pane lievitata e arricchita di formaggi o miele. Oggi la pizza con la pommarola rossa ha fatto il giro del mondo. All’inizio del XIX secolo le popolazioni venete erano turbate dalla colorazione sanguigna che compariva sulla polenta di farina di mais, fenomeno mai notato  per le polente preparate con altre granaglie. L’insolito segno rosso suscitava paure anche perché la polenta era ottenuta con un frumento esotico (detto grano turco) di lontana origine, proveniente da  paesi non cristiani.
Siamo all’inizio dell’era scientifica e Serafino Serrati, per dimostrare agli increduli che si tratta di un fenomeno naturale, trasferì una normale polenta in un  recipiente chiuso umido e caldo: dopo 24 ore la superficie apparve di un colore rossastro. Alcuni anni dopo, Bartolomeo Bizio, dell’Università di Padova, studia la colorazione sanguigna superficiale della polenta (da lui definita “polenta porporina” per il colore purpureo) e lo addebita all’azione di un microorganismo che denomina “Serratia marcescens” per ricordare l’intuizione di Serafino Serrati.
Negli anni successivi, grazie ai progressi della microbiologia, si individuano altri microrganismi che producono colorazioni rosso vivo dal pane, ma soprattutto sulle ostie consacrate e racchiuse nei tabernacoli: venivano chiamate “ostie sanguinanti”, premonitrici di sventure e di intolleranze religiose. In  realtà si scoprì un microorganismo denominato “Bacillus prodigiosum” che sviluppa dei pigmenti color rosso sangue nei tabernacoli umidi e in periodi caldi. Recentemente abbiamo avuto le mozzarelle di colore bluastro provocato da batteri del genere “Pseudomonas” che crescono nei formaggi freschi poco acidi, con scarsa presenza di ossigeno (di conseguenza: confezionati) favoriti dagli sbalzi termici. In passato non creavano problemi perché le mozzarelle non erano confezionate, e il consumo era immediato:oggi si consumano dopo alcune settimane. Ecco perché le aziende produttrici hanno ridotto la data di scadenza dei loro prodotti da tre a due settimane.Probabilmente in futuro arriveranno anche delle fluorescenze che la fantasia popolare attribuirà ad esseri extraterrestri. Per ora sappiamo che in fondo al mare vivono gamberetti e pesci che utilizzano la simbiosi con batteri (Photobacterium e Pseeudomonas fluorescens) che sono in grado di produrre pigmenti dal giallo-rosso al verde fluorescente. In ogni caso va sempre ricordato che lo sviluppo batterico segnala una scarsa pulizia di raccolta, lavorazione, conservazione, errata regolazione dei frigoriferi, per cui se i batteri luminescenti non sono estremamente pericolosi, possono essere presenti altri batteri che è preferibile evitare.

Percezione del gusto dolce negli anziani

Il fisiologico meccanismo per cui l’invecchiamento si associa ad una riduzione della percezione gustativa, sebbene in misura minore rispetto a quella olfattiva, non è ancora ben chiarito: le ipotesi più plausibili sono legate alla ridotta densità delle papille gustative e dei recettori del gusto.
Al recente congresso A.D.I. (Associazione Italiana di Dietetica) che si è svolto a Vicenza, il Direttore I.Grandone, del SSD di Geriatria dell’Ospedale Santa Maria di Terni ( e SC di Diabetologia, Dietologia e Nutrizione Clinica), ha sottolineato il fatto che i sapori meno percepiti dall’anziano sono il salato e l’amaro. Invece la capacità di percepire il gusto dolce è piuttosto stabile nel corso dell’intera vita, e non scompare anche in età anziana.
In realtà è particolarmente raro che cause esterne possano deteriorare completamente le aree devolute alla percezione gustativa. Le alterazioni del gusto (ipogeusia) sono frequenti nel Parkinson, nell’Alzheimer. Può verificarsi disgeusia dopo l’assunzione di farmaci, fino ad una completa “ageusia” dopo trattamenti chemio /radioterapici o dopo episodi post-traumatici. Le cause di tali alterazioni possono verificarsi in diverse sedi: orali, respiratorie, legate al sistema nervoso centrale o periferico, patologie sistemiche come la cirrosi epatica o l’acidosi da insufficienza renale. In molti casi inoltre le alterazioni del gusto possono avere una diversa etiologia come la semplice scarsa igiene orale fino ai deficit vitaminici, all’uso di molte associazioni di farmaci (ansiolitici, antiepilettici, antiparkinsoniani, antidepressivi).
Poche indagini sono state effettuate sulla preferenza del sapore dolce fra gli anziani: questo fenomeno può essere correlato al declino delle capacità olfattive, che spinge l’anziano a preferire i dolci per trarre piacere dal cibo. E’ stato notato che nei soggetti colpiti da demenza, con il progredire dei sintomi, si verifica un progressivo declino della capacità gustativa con conseguente perdita di peso. Potenziando la presenza di alcune componenti  (come il gusto dolce) si potrebbe aumentare l’apporto di cibi e ridurre l’anoressia secondaria.
La “nutritional care” di questa tipologia di pazienti potrebbe trarre vantaggio dall’utilizzo di alcuni dolcificanti acalorici, per aumentare l’intensità del gusto dolce senza incidere sull’apporto di zuccheri semplici. Questa soluzione è importante quando si verificano particolari situazioni come, ad esempio, la patologia diabetica.
In altre parole, tenendo conto che la preferenza per il dolce non scompare anche in età avanzata, come nel bambino, il gusto “dolce” può rappresentare uno stimolo ad una nutrizione sufficiente per conservare una buona salute.

Nutrizione e salute R. Pellati - Anno 2016 Numero 3

Rivista : Anno 45/Numero 3
Autori/Authors : Pellati R.

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La qualità nel settore vitivinicolo

Rivista : Anno 45/Numero 3
Autori/Authors : Toti E.

Riassunto

Il settore vitivinicolo nazionale, oltre ad essere un pilastro del sistema agroalimentare, detiene un livello molto alto sia in ambito produttivo che qualitativo, anche al di fuori dei confini nazionali. Negli ultimi anni i consumatori hanno acquisito una crescente coscienza in merito alla qualità dei prodotti agroalimentari in generale, ma anche un progressivo interesse nei confronti dei prodotti della filiera vitivinicola, richiedendo garanzie sull’autenticità e sulla salubrità dei loro componenti. Anche a livello europeo il vino è uno dei settori dell’agricoltura che incidono maggiormente nel bilancio comunitario e negli ultimi decenni il settore vitivinicolo è andato modificandosi anche a causa della concorrenza di nuovi Paesi produttori. Dati della Commissione Agricoltura UE riportano che l'Unione Europea detiene il 45% delle superfici viticole presenti a livello mondiale, esprime il 65% della produzione di vino, rappresenta il 57% del consumo globale e il 70% delle esportazioni.

Atti del Convegno Comunicare la Qualità

Rivista : Anno 45/Numero 3

ATTI DEL CONVEGNO

Comunicare la qualità
Etichettatura degli alimenti: obblighi e opportunità per le imprese agroalimentari

Il 13/12/2016 è diventata operativa la disciplina su “informazioni sugli alimenti ai consumatori” introdotta con il regolamento CE1169:2011. La normativa comunitaria si interseca con un complesso quadro di norme che disciplinano specifici settori merceologici e di circolari interpretative emesse dagli organi competenti. Oggi le imprese alimentari sono impegnate a rinnovare gli strumenti di comunicazione degli alimenti, in primis le etichette, secondo i nuovi canoni europei. L’obiettivo del Convegno “COMUNICARE LA QUALITÀ Etichettatura degli alimenti: obblighi e opportunità per le imprese agroalimentari”, organizzato da Fosan e Biomerieux Nutriscience a Roma il 28 Settembre 2016 è stato quello di fornire un sostegno alle imprese nell’applicare ed interpretare correttamente i vincoli normativi, utilizzando dove disponibili i claims autorizzati per la promozione della qualità del prodotto. Nella giornata sono stati anche discussi gli elementi della comunicazione della qualità del prodotto, non esplicitamente regolamentati dalle nuove normative, tentando di fornire soluzioni alle imprese per sostenere le scelte effettuate. La giornata ha fornito numerosi spunti di riflessione ed approfondimenti tra i numerosi presenti, pertanto la Redazione ha voluto la pubblicazione degli atti del convegno per poter divulgare gli interventi presentati, eventuali approfondimenti possono essere richiesti alla redazione, all’indirizzo email: [email protected].

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