Anno 43/Numero 1

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Attualità su probiotici e prebiotici

La FAO ha definito i probiotici come “ batteri vivi e vitali che conferiscono benefici alla salute dell’ospite quando sono consumati in adeguate quantità come parte di un alimento o di un integratore”. Sono batteri non patogeni, meglio definiti dalle loro caratteristiche funzionali, più che da quelle strutturali. Ogni specie infatti (Esempio: Lactobacillus, Bifidobacterium, Saccharomices) comprende ceppi diversi (Esempio: bulguaricus, johnsoniiLa1, rhamnosus GG) che apportano benefici differenti, per cui un effetto fisiologico di un ceppo può non essere uguale a quello di un altro ceppo. I meccanismi d’azione dei probiotici non sono stati del tutto spiegati. Tuttavia i dati scientifici più numerosi sono quelli che provano l’attività di prevenzione e di efficacia di alcuni ceppi contro:

  1. la stipsi nei bambini (L. casei rhamnosus Lcr 35L.casei shirotaL. rhamnosus GG)
  2. la diarrea associata al consumo di antibiotici nei bambini (L.rhamnosus GG, Saccharomices boulardii)
  3. episodi di diarrea acuta negli adulti (Saccharomics boulardii)
  4. diarrea da rotavirus nei bambini (L. rhamnosus GG).

Meno evidenze esistono nei riguardi della cosiddetta “diarrea del viaggiatore” la cui variabile maggiore sembra dipendere dal paese di destinazione più che dall’efficacia di Saccharomices boulardii, il ceppo maggiormente usato oggi per contrastarla. I probiotici sono anche utilizzati per alleviare le malattie infiammatorie dell’intestino e l’infezione causata da Helicobacter Pylory e per migliorare la sintomatologia tipica della sindrome del colon irritabile. L’efficacia dei probiotici è dovuta al fatto che l’intestino umano è un ecosistema complesso, in equilibrio grazie ad una barriera protettiva composta da un sistema di giunzioni (tight junction) fra le cellule dell’epitelio, uno strato mucoso glicoproteico e peptidi ad attività antimicrobica. L’integrità della barriera in condizioni normali impedisce il passaggio di microrganismi patogeni o allergeni alimentari, che possono indurre una risposta infiammatoria e dare l’avvio a disordini intestinali e disturbi all’organismo. A questa barriera se ne aggiunge un’altra: una microflora caratteristica (microbiota), per lo più composta da lattobacilli e bifido batteri, che creano un ambiente ostile alle forme patogene. I ceppi appartenenti a queste due specie sono quelli più frequentemente studiati e usati a fini terapeutici, grazie al ruolo antagonista che esercitano su diversi microrganismi, sull’integrità della barriera e grazie alla capacità di tollerare le condizioni dell’ambiente gastrointestinale (acidi gastrici e bile) e alla capacità di aderire alla mucosa. Di conseguenza i batteri probiotici:

  1. modificano il microbiota intestinale
  2. competono con i patogeni per i siti di attacco alla mucosa
  3. rafforzano le giunzioni fra le cellule dell’epitelio intestinale poiché modulano l’espressione dei geni che codificano per le proteine delle giunzioni stesse
  4. modulano il sistema immunitario a vantaggio dell’ospite
  5. producono acidi organici a basso peso molecolare (acido lattico e acido acetico) e batterio cine (molecole tossiche per alcuni batteri patogeni).

Una dieta arricchita con fermenti probiotici, in caso di disbiosi, concorre al ripristino del normale microbiota intestinale, purchè somministrati in numero sufficiente e della stessa classe tassonomica cui è attribuibile l’effetto desiderato. Ci sono evidenze sul fatto che i batteri che abitano nell’intestino possono modulare il sistema immunitario mucosale e alcuni ceppi probiotici sono in grado di stabilire un “dialogo” con il sistema immunitario intestinale e di interagire con esso. Si reputa quindi che i probiotici possano avere diversi effetti benefici sulla funzione immunitaria e si ritiene che ciò sia dovuto almeno in parte alla regolazione della funzione delle citochine. Per quanto riguarda la risposta infiammatoria, alcuni studi clinici suggeriscono che possano prevenire le ricadute di malattie infiammatorie croniche intestinali negli adulti. Interessanti effetti positivi di alcuni ceppi probiotici riguardano anche la dermatite atopica e l’asma nei bambini. Com’è noto i probiotici sono veicolati da preparazioni alimentari come succhi, latti fermentati e yogurt che offrono un ambiente ottimale per i batteri (4° - 8° con breve durata indicata in etichetta) che favoriscono occasioni di consumo giornaliere, Come integratori invece possono essere somministrati come capsule, compresse o sospensioni più facili da conservare ( temperatura ambiente) e da assumere alla dose utile. I “prebiotici” invece sono componenti non digeribili di alimenti di origine vegetale che sono utili per la salute dell’organismo perché permettono di stimolare selettivamente la crescita e l’attività di una singola o di un limitato numero di specie batteriche (esempio: bifidobacterium-lactobacillus) presenti nell’intestino umano. Sono interessanti perché svolgono un’azione selettiva a scapito di specie, per esempio, del genere “Bacteroides” e “Clostridium”, poco graditi dall’ambiente intestinale. Dal punto di vista chimico i prebiotici sono dei carboidrati a catena corta (oligosaccaridi): i più comuni sono l’inulina, i FOS (frutto-oligosaccaridi) e i trans-GO ( trans-galattosaccaridi) presenti in natura nel mondo vegetale. I prebiotici concorrono alla formazione di acidi grassi a catena corta, noti per azioni positive sull’organismo. In altre parole, i prebiotici sono sostanze che facilitano lo sviluppo dei probiotici, consentono ai probiotici (che sono microrganismi utili) di sopravvivere e di esercitare la loro azione positiva. Quindi i prebiotici, unitamente ai probiotici, possono costituire un’interessante strategia per ridurre gli impatti negativi degli antibiotici a livello della flora intestinale.

Le raccomandazioni nutrizionali dei paesi nordici

Dal 1980, i paesi del Nord Europa pubblicano ogni 8 anni le “Nutrition Recommendationns NNR” per prevenire le malattie non trasmissibili come quelle cardiovascolari, diabete di tipo 2, osteoporosi e sono molto simili alla nostra dieta mediterranea. Sottolineano in particolare l’utilità dei grassi monoinsaturi, i polinsaturi e la fibra, limitando gli acidi grassi trans e quelli saturi. Sulla base di queste raccomandazioni i valori nutrizionali per i grassi possono essere innalzati fino al 40 % delle calorie introdotte con la dieta.
Viene raccomandato un alto consumo di fibra tra 25 e 35 g al giorno (più elevato di quanto consigliato dai nostri LARN) proveniente dai cereali integrali, frutta e verdura. L’energia proveniente dalle proteine non deve superare il 10-20 % delle calorie totali, mentre gli zuccheri solubili non devono superare il 10 %. I valori giornalieri raccomandati di vitamina D incrementano da 7,5 a 10 microgrammi al giorno per i bambini al di sopra dei 2 anni e gli adulti: ancor più per gli anziani. Le raccomandazioni invitano la popolazione a sostenere un regime dietetico variegato con particolare riferimento a frutta, verdura, bacche e legumi, animali magri, un consumo regolare di pesce, mentre sono da limitare sale, alcool e zucchero.
Interessanti sono i livelli di attività fisica ottimali per ottenere un buono stato di salute. Per gli adulti si consigliano almeno 150 minuti di attività ad intensità moderata oppure 75 minuti ad intensità elevata a settimana, mentre per i bambini almeno 60 minuti a settimana.
Ormai tutta la letteratura scientifica mondiale segnala una forte associazione inversa dose-dipendente tra consumo di frutta e verdura e mortalità. Jennifer Mindell (Dipartimento di Epidemiologia e Salute Pubblica dell’University College di Londra) ha pubblicato uno studio sul Journal of Epidemiology and Community Health che conferma (con i dati raccolti da oltre 65 mila persone da 35 o più anni, tenendo presente consumo di alcool, classe sociale, livello di istruzione, indice di massa corporea) come frutta e verdura riducono i decessi per tutte le cause con effetto massimo a 7 porzioni giornaliere. Precisa la ricercatrice: “ Il consumo di verdure è più protettivo, mentre quello di frutta in scatola sembra aumentare i decessi, probabilmente a causa del contenuto in carboidrati aggiunti”.

Consumo alimentare di insetti

Per consentire nei prossimi anni un adeguato rifornimento di proteine nel mondo intero, la FAO ha individuato 3 interventi urgenti per avviare l’utilizzo degli insetti: a) far accrescere  nella società la consapevolezza del problema ; b) educare le nuove generazioni a rendere accettabile ciò che oggi non lo è ; c) approfondire le conoscenze (attraverso progetti di ricerca scientifica ed esperimenti pilota) dato che si tratta di un intero mondo zootecnico parallelo e sino ad oggi inesplorato. Il periodico Eurocarni riporta l’intervento del senior officer della FAO Paul Vantomme all’edizione 2013 della “Convention-Sicura” di Modena nel corso del seminario “Il cibo degli altri”.
Ci sono ben 3 buone ragioni per utilizzare gli insetti nella produzione di cibo e mangime: a) fanno bene alla salute (caratteristiche nutrizionali simili al pesce);b) fanno bene alla salute del pianeta (richiedono meno terreno e meno acqua); c) rappresentano un’opportunità economica (possono essere allevati in ogni clima e in ogni luogo). Il nostro pianeta fra pochi anni sarà popolato da 10 miliardi di abitanti, e non sarà nell’hamburger o nel tonno la risposta ai fabbisogni proteici della popolazione mondiale, a meno che non si voglia far collassare l’ecosistema. Gli insetti hanno contenuti proteici anche doppi rispetto alla fettina di vitello e, a parità di peso, richiedono utilizzi fino a 100 volte inferiori di suolo e di acqua. Si ritiene che nel mondo oggi esistano 1900 specie di insetti ritenuti commestibili.
Fra i vari problemi che esistono per attuare tali proposte, bisogna affrontare la questione legata alle legislazioni, dato che occorre inserire gli insetti nelle normative che si occupano di cibo e mangime e precisare quali sono gli insetti commestibili. Occorre definire gli standard di sicurezza, la regolamentazione delle etichette e della catena di distribuzione.
Indubbiamente l’incremento ponderale degli insetti è notevole: nel caso del grillo, con 1 Kg di alimento aumentano di 590 g il loro peso vivo, di cui 470 g in porzione edibile (l’incremento del suino sin aggira sui 200 g). Il motivo deriva dal fatto che gli insetti sono animali omeotermi e quindi non necessitano di destinare buona parte del cibo per mantenere costante la loro temperatura corporea. Inoltre va segnalata la minor produzione di CO2 e quindi si ottiene una riduzione delle emissioni di gas serra.
Alcune ricette a base di insetti sono già conosciute nelle cucine tradizionali degli altri continenti. Nel Ghana le termiti vengono cucinate fritte e inserite nei panini, in Sud Africa le termiti si utilizzano nel porridge di mais, nel Centro Africa durante la stagione delle piogge si mangiano i bruchi, in Messico si può trovare i tacos accompagnati da cavallette speziate, in Asia l’imperatore del Giappone Hirohito apprezza il riso cotto con le vespe croccanti, in Indonesia gustano le libellule allo zenzero bollite nel latte di cocco.
Per noi occidentali l’ostacolo maggiore è rappresentato dal “disgusto” e sarà necessario organizzare degli eventi, educare le nuove generazioni, per rendere accettabile ciò che oggi non lo è. L’entomofagia è solo un fatto culturale, sottolinea Mauro Ferri, medico veterinario dell’Asl di Modena. Infatti già consumiamo insetti, come il “casu marzu (formaggio sardo ai vermi) e “l’alchermes” della zuppa inglese (colorato con estratti di Dactylopius coccus).  A pensarci bene in passato si sono già verificati situazioni del genere. Pensiamo alla patata che dopo la scoperta dell’America, per circa 3 secoli non è stata utilizzata dagli Europei (anche se la fame era endemica e si verificavano carestie) perchè era sporca, brutta, nasceva e si sviluppava sotto terra, dove c’erano gli influssi del “diavolo” (!!!). Oggi in Belgio il consumo annuo è di circa 200 Kg pro-capite. Anche il pomodoro che riteniamo indispensabile per condire gli spaghetti e preparare la pizza, dopo l’arrivo in Europa del XIV secolo, per due secoli non è stato utilizzato, ed è entrato da poco in cucina. Fino al 1800 si teneva in casa come pianta ornamentale e la pizza Margherita che ormai si legge su tutti i menù è stata confezionata per la prima volta solamente nel 1880 per rendere omaggio alla Regina Margherita in occasione della sua visita a Napoli con il consorte Umberto I.
La FAO sottolinea la necessità di creare su scala internazionale un’associazione industriale di settore, stabilire standard qualitativi minimi e una “roadmap” delle tecnologie per incrementare le “entomoproteine”.
 

Packaging innovativo per sprecare meno cibo

Le Nazioni Unite stimano che ogni anno la denutrizione sia la causa di decesso per 2,6 milioni di bambini sotto i 5 anni. La fame non avrebbe ragione di esistere se pensiamo che ogni anno finiscono nei rifiuti circa 1,3 miliardi  di tonnellate di generi alimentari. Se si riuscisse a ridurre le perdite con una gestione più responsabile dei beni alimentari, sarebbe possibile arginare le carestie. Secondo la FAO il 54 % dei beni alimentari sprecati vanno già persi  durante la fase di produzione, post raccolta e stoccaggio da parte dei paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia. Bisognerà convincere queste popolazioni che è preferibile confezionare le proprie materie  prime sul luogo di origine piuttosto che metterle in viaggio senza protezione. Qui non serve tanto l’high-tech quanto l’opera di informazione sul posto.
Invece gli sprechi dovuti a lavorazione, distribuzione e consumo sono piuttosto dei paesi industrializzati. Ogni anno in Europa e in America del Nord vengono gettati nella spazzatura circa 100 Kg di generi alimentari pro-capite ancora idonei al consumo. Occorre cambiare mentalità per ridurre il consumismo e lo spreco.
Per esempio le confezioni “famiglia” inaspriscono questo problema. I prodotti vanno spesso in scadenza prima che i consumatori abbiano terminato la confezione. Nella ristorazione collettiva (a livello europeo il giro d’affari è stimato in 77 miliardi) va ricordato che nelle mense scolastiche circa 250 g a pasto vanno a finire nei rifiuti e nella ristorazione ospedaliera i rifiuti salgono a 630 g a pasto.
Andrebbero potenziati gli indicatori termo-temporali che informano in qualsiasi momenti sulla freschezza del prodotto: l’etichetta identifica le eventuali interruzioni della catena del freddo cambiando colore.
Bisogna estendere la ricerca sugli imballaggi attivi che intereagiscono con il contenuto. Le pellicole che avvolgono l’alimento possono essere arricchite con conservanti come l’acido ascorbico che combatte l’attività dei germi sugli alimenti.
Occorre potenziare la ricerca su antimicrobici ed estratti vegetali dotati di attività antiossidante.
Un’altra risorsa deriverà dall’aumento degli imballaggi flessibili, con peso ridotto, che assicura costi di trasporto più bassi e riduce i costi complessivi della catena dei rifornimenti. L’uso di questi imballaggi con forme e sistemi di chiusura ed erogazione innovativi può essere utile nel caso di salse e prodotti cremosi tipo marmellate e miele.                                                                                                E’stato dimostrato che se si vuole ridurre la quantità di pane sprecato è necessario produrre forme più piccole. Di conseguenza la ricerca di materiali per imballaggi leggeri diventa sempre più impegnativa perché occorrerà compensare i maggiori costi per confezioni “intelligenti” risparmiando in altri settori della catena alimentare.
Al convegno dell’OTALL (Ordine dei Tecnologi Alimentari) è stata illustrata (Arnaldo Dossena –Università di Parma)) una nuova tecnica per ottenere nuovi prodotti da sottoprodotti industriali derivanti da fonti animali. Per esempio, tenendo presente che nella filiera avicunicola il 50 % della produzione rappresenta lo scarto e la maggior parte viene incenerita impattando sull’ambiente, oggi è possibile ottenere cibo di alta qualità dalle carcasse di pollo. L’idrolizzato proteico che ne deriva  è sicuro e contiene alti valori nutritivi: può essere utilizzato sia nella mangimistica che per il consumo umano.
Lo spreco alimentare non potrà essere combattuto in modo radicale sino a quando al cibo e alla sua produzione non sarà riconosciuto il valore di “bene comune”. A questo proposito va citata l’iniziativa promossa dalla Fondazione “Banco Alimentare” a cui oggi collaborano ben 1700 volontari che raccolgono le eccedenze di produzione agricola, industriale e della Grande Distribuzione e le ridistribuiscono a strutture caritative che si occupano di aiuto agli emarginati in stato di bisogno.

Problemi alimentari delle etnie presenti in italia

La presenza nel nostro paese di diverse etnie è destinata a produrre inevitabili trasformazioni socio-culturali con notevoli ricadute sul piano nutrizionale.
Secondo i dati Istat gli immigrati oggi residenti in Italia sono all’incirca 5 milioni, ma questo dato è destinato a crescere: nel 2065 saranno 14 milioni. Oltre il 60 % attualmente risiede nelle regioni settentrionali, il 25 % nel centro, e il 10-15 % nel sud e nelle isole.
Riguardo alla provenienza il 25 % proviene dai paesi UE di nuova adesione (Romania, Bulgaria, Ungheria), il 24 % dai paesi non UE dell’Europa centro orientale (Albania, Moldova, Turchia), il 15 % dal Nord Africa (Marocco, Tunisia, Egitto), l’8 % dai paesi dell’Asia orientale (Cina e Filippine). Seguono altri paesi.
Dalla teoria dell’assimilazione che ha dominato fino a qualche tempo fa per cui i migranti acquisivano il modello alimentare del paese ospitante, oggi si è passati ad una prospettiva di società multiculturale basata sul riconoscimento e il rispetto della differenza. Questo ha facilitato l’affermarsi nel nostro Paese di nuovi stili alimentari alla cui diffusione ha contribuito anche la maggior facilità nel trasporto di merci, compreso gli alimenti.
Partendo da queste considerazioni il periodico ADI Magazine ha pubblicato nel N° di Dicembre 2013 un lavoro di M. Giorgini e B. Capaldo (Dipartimento di Medicina  Clinica e Chirugia dell’Università Federico II di Napoli) in cui sono state valutate le principali caratteristiche nutrizionali  degli alimenti di maggior consumo tra le comunità immigrate per poter attuare (quando è necessario) una corretta terapia nutrizionale soprattutto per quanto riguarda diabete e altre malattie metaboliche (obesità, ipercolesterolemia). E’ facile prevedere che una larga platea di pazienti immigrati usufruirà delle strutture di cura presenti nel nostro paese, e quindi è importante conoscere le caratteristiche nutrizionali degli alimenti di maggior consumo tra le comunità immigrate. In particolare è stato valutato l’indice glicemico, data l’importanza che riveste nella dietoterapia del diabete e delle malattie metaboliche.

Modello alimentare dell’Europa dell’Est.
La ripartizione in macronutrienti, pur nella diversità delle spezie e degli aromi utilizzati  risulta simile alla dieta mediterranea, però negli ultimi anni si sta verificando un’inversione di tendenza con regimi alimentari ricchi di grassi e poveri di fibra, soprattutto nella fascia di età 19-34 anni. Alimento tipico di quest’area geografica è il “bulgur” un cereale ottenuto dal grano macinato (IG 47). Il grasso maggiormente utilizzato è l’olio di girasole.

Modello alimentare dell’Africa Settentrionale.
Lo stile alimentare è ricco in fibre (molti vegetali) e povero di zuccheri raffinati e sodio ( molte erbe e spezie). Nelle regioni più povere risulta inadeguato l’apporto di proteine e lipidi. Il consumo di legumi è elevato, da soli o con i tuberi (IG pari a 52).
Sono molto diffuse le radici ricche di amido (manioca e patate), cereali (mais e riso), frutta (banana): Un altro vegetale di frequente consumo è il “morogo” (IG pari a 68).Tra i tuberi è molto diffuso lo “yam” simile alla nostra patata (IG tra 50 e 74).
Il condimento grasso privilegiato è l’olio di palma, ricco di acidi grassi saturi. Conviene raccomandare il consumo di riso parboiled.

Modello alimentare cinese
Pur con ampie differenze tra le diverse regioni, la dieta comune è caratterizzata da un elevato consumo di cereali (riso e noodles) che forniscono dal 54 %  al 78 % delle calorie totali. L’apporto di proteine è di circa un decimo dell’introito proteico medio degli Stati Uniti. Il condimento grasso prevalente è l’olio di soia, ricco di acidi grassi polinsaturi.
L’elevato consumo di riso bianco  si associa ad un più alto rischio di sviluppare il diabete di tipo “2”, quindi è opportuno incoraggiare il riso parboiled.
Un alimento tipico sono i “noodles”, simili ai nostri spaghetti, che però possono essere ottenuti dal riso, dai legumi, dalle patate ed quindi varia molto l’indice glicemico.

Dieta  e ramadan
La comunità musulmana è piuttosto numerosa (33 % del totale) e una delle principali pratiche religiose  dell’Islam è l’osservanza del mese di ramadan, durante il quale i fedeli praticano l’astensione dal cibo (la carne di maiale è vietata), dalle bevande, dal fumo dall’alba al tramonto. Nel corso del ramadan è consentito consumare 2 pasti: il principale al tramonto, negli ambienti comuni (moschee, per strada) ed è costituito da alimenti densamente calorici; il secondo viene consumato 2 ore prima del sorgere del sole, ed è composto generalmente da legumi. Poiché il periodo di digiuno può variare da 10 a 20 ore, in relazione al periodo dell’anno  e della localizzazione geografica, è necessario che la terapia (ipoglicemizzante, diuretica) venga adattata alla condizione del paziente, per prevenire possibili complicanze (iperglicemia, ipoglicemia, disidratazione, ipotensione), come dimostra uno studio condotto su 13 paesi di religione islamica.
Queste brevi e incomplete note vanno ampliate per assicurare ai pazienti immigrati un giusto supporto nutrizionale, senza imporre loro di modificare lo stile alimentare o assimilarlo al nostro, per non interferire con il loro patrimonio culturale.
Il lavoro è corredato da interessanti tabelle che mettono in evidenza l’IG di numerosi alimenti utilizzati dalle etnie indicate.
 

Nutrizione e salute R. Pellati - Anno 2014 Numero 1

Rivista : Anno 43/Numero 1
Autori/Authors : Pellati R.

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La storia del “Made in Italy”

Rivista : Anno 43/Numero 1
Autori/Authors : Toti E.

Sommario
Il marchio di garanzia “Made in Italy” nasce nel 1990 e la sua storia ed evoluzione si può riassumere in alcuni momenti essenziali:

  • Il Regolamento CEE n. 2913/92 sull’origine delle merci
  • La Legge Finanziaria 2004 (Legge 350/2003)
  • Il Decreto Legislativo n.172 che rappresenta l’attuazione di una Direttiva CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti
  • La proposta di legge presentata dai deputati Raisi e Saglia con il titolo “Istituzione del marchio “Made in Italy”
  • Il documento “Norme per la riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani”

 

Packaging - imballaggi alimentari

Rivista : Anno 43/Numero 1
Autori/Authors : Sciarroni M.

Sommario
Il confezionamento e l’imballaggio degli alimenti risulta essere un settore in notevole espansione. La sua finalità principale consiste nell’ottenere il massimo grado di protezione per i prodotti al fine di evitare che i stessi possano subire alterazioni rischiose per la salute dei consumatori. Le funzioni principali degli imballaggi e dei contenitori riguardano il ruolo da essi svolto in merito sia alla conservazione dei prodotti alimentari e sia alla loro idoneità all’uso. A tale proposito si sono sviluppate nuove tecnologie e sono state poste in essere numerose ricerche per escludere che mediante tecniche errate di confezionamento possano scaturire pregiudizi e danni per i consumatori. Allo scopo di prolungare la shelf- life ( vita commerciale) dei prodotti e, quindi, assicurare una maggiore tutela agli utenti finali- consumatori, hanno trovato realizzazione i cosiddetti “imballaggi attivi” e “imballaggi intelligenti, i quali vengono creati con materiali che, interagendo con gli alimenti, svolgono un ruolo non soltanto di contenimento e di protezione, ma permettono anche di accrescerne l’utilità aggiungendo ulteriori funzioni. La ratio che ispira l’intera disciplina dei materiali a contatto degli alimenti, di cui gli imballaggi e i recipienti ne sono un esempio tipico, è fondata sul raggiungimento del più alto tenore di sicurezza di siffatti materiali. Le sostanze chimiche presenti negli imballaggi, infatti, possono trasferirsi da quest’ultimi e raggiungere il cibo, mettendo in serio pericolo la salute umana. La normativa, pertanto, impone che tali materiali debbano essere creati e ideati secondo precise disposizioni di legge. Siffatte disposizioni sono improntate sulle buone pratiche di fabbricazione per scongiurare l’originarsi di contaminazioni, di mutamenti e di deterioramenti nella composizione del prodotto che comporterebbero molti rischi per i consumatori a causa della migrazione negli alimenti di sostanze nocive. La presente disamina ha avuto ad oggetto l’esame e l’analisi della normativa vigente in materia di materiali che possono venire a contatto diretto con gli alimenti, con particolare attenzione alla regolamentazione degli imballaggi e dei contenitori.

A flexible, laboratory scale and image analysis based equipment to assess rice quality classes

Rivista : Anno 43/Numero 1

Sommario
La valutazione della qualità del riso si basa su diverse caratteristiche tra cui il numero di grani spezzati, l’aspetto (bianco vitreo e gessato) e la forma, caratteri che dipendono soprattutto dalla varietà, dalle condizioni climatiche, dalle tecniche di coltivazione e dai processi di lavorazione (es. pulizia, essiccazione e molitura). La qualità del riso alla molitura è definita dalla resa potenziale alla lavorazione come riportato dall’International Organization for Standardization (ISO 7301: 2011). Anche se i processi industriali includono già i sistemi di analisi di immagine durante le loro linee di selezione, questi non sono facilmente configurabili dagli operatori che non riescono ad adattarli alla valutazione delle caratteristiche del riso come richiesto dalla legislazione vigente. Questo lavoro propone un dispositivo flessibile basato sull’analisi di immagine configurabile dagli operatori per la selezione dei grani basata su 3 attributi qualitativi quali la forma, la taglia (Analisi Ellittica di Fourier e morfometria di base) e sull’aspetto (colore), utilizzando differenti modelli di classificazione multivariata (Partial Least Squares Discriminant Analysis). Il presente studio ha lo scopo di fornire un sistema quantitativo, non distruttivo e rapido per classificare differenti classi qualitative industriali e difetti (sani, semi sbramati, con il ventre bianco, gessati e rotti) appartenenti ad alcune importanti varietà di riso commerciali non parboiled (Carnaroli, Demetra, Ducato, Onice, Opale e Salvo). I risultati dei modelli per la classificazioni di ogni classe industriale/difetto delle varietà considerate tutte insieme (all) e per delle varietà considerate singolarmente (Carnaroli, Demetra, Ducato, Onice, Opale e Salvo) mostrano come la percentuale di corretta classificazione dei test siano molto alte per tutti i modelli (dall’82,85 % per il modello “all” al 93,16 % per il modello “Onice”).

Abstract
The milled rice quality evaluation is based on several traits among which number of broken grains, appearance (translucency and chalkiness) and shape, depending mainly on the variety, weather conditions, growing techniques and production processes (e.g., cleaning, drying and milling). Milling quality of rice is defined as potential milling yield from paddy and from husked rice as reported by the International Organization for Standardization (ISO 7301: 2011). Although industrial processes already include imaging systems along their sorting lines, these are not easily configurable by the operator adapting the assessment to the grain characteristics following a specific legislation. This work proposes a flexible image analysis equipment configurable by operators to select grains on the base of 3 quality attributes such as shape, size (i.e., Elliptic Fourier Analysis coefficients and basic morphometry) and appearance (colour), using different multivariate classification models (i.e., Partial Least Squares Discriminant Analysis). The presented study would provide a quantitative, non-destructive and rapid method to classify different qualitative industrial classes and defects (i.e., sound, semi husked, white belly, milky white and broken) of some important commercial non parboiled rice varieties (i.e., Carnaroli, Demetra, Ducato, Onice, Opale and Salvo). The results of the models for the classification of each industrial/defects classes for both all varieties considered together (all) and each variety separately considered (Carnaroli, Demetra, Ducato, Onice, Opale and Salvo) show as the percentages of correct classification of the tests are very high for all the models (from 82.85% of “all” model to 93.16% of “Onice” model). This could represent an opportunity for the industry which need to annually adapt to the international and national legislations on the basis of the market requests.

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