Anno 38/Numero 4
Listeria e atmosfera modificata
Secondo uno studio condotto presso il National Food Institute danese e pubblicato sulla rivista BMC Microbiology, quando le listerie vivono in condizioni di carenza di ossigeno si rafforzano fino a 100 volte. Questa notizia preoccupa i produttori che utilizzano il confezionamento in atmosfera modificata che riduce i livelli di ossigeno.
E’ stato appurato che i batteri spesso aderiscono alla superficie degli alimenti e formano un biofilm molto difficile da eliminare, vale a dire una massa di microbi attaccati alla superficie e fra loro da zuccheri complessi, noti come polimeri batterici. Di conseguenza il nuovo studio suggerirebbe di riconsiderare l’opportunità di utilizzo del confezionamento in atmosfera modificata.
Com’è noto le listerie causano la listeriosi, un’infezione rara ma potenzialmente letale che provoca setticemia, meningite, morte dei feti, oltre a forme gastrointestinali.
Pesce e allergia
Dopo il latte, l’uovo e il grano, il pesce è l’alimento maggiormente sensibilizzante.
Su questo tema, il periodico “Doctor Pediatria”,Ottobre 2008 ha pubblicato una review della letteratura curata dalla Clinica Pediatrica dell’Ospedale San Paolo-Università di Milano a cura di M. Mandelli, P. Ballista, M. Di Vito, E. D’Auria, M. Sala.
Spesso la prima reazione allergica si manifesta nei bambini entro il primo anno di età, quando per la prima volta viene introdotto il pesce con la dieta. Questa reazione è dovuta alla precedente sensibilizzazione del soggetto attraverso il passaggio degli allergeni del pesce nel latte materno ed alla presenza degli allergeni nell’aria degli ambienti chiusi o nella polvere delle case, dove il pesce viene cucinato.
I test cutanei al pesce hanno una sensibilità e un valore predittivo eccellenti, ma una specificità ed un valore predittivo piuttosto bassi. E’ stata infatti osservata un’alta prevalenza di test cutanei positivi al pesce, con mancata manifestazione sintomatologica durante esecuzione di challenge. Una possibile spiegazione del numero elevato di falsi positivi è la presenza di livelli relativamente elevati di istamina negli estratti di pesce.
L’allergia al pesce e ai frutti di mare è considerata perenne, anche se esiste una piccola percentuale di casi (3 %) che vanno incontro ad una remissione spontanea.
L’allergene più noto è l’allergene M del merluzzo e di altri pesci vertebrati anche denominato “paralbumina” (Gad cl), allergene termo e gastro stabile costituito da 113 aminoacidi con peso molecolare di 12.000 Dalton.
Il paziente con allergia ad una specie ittica è potenzialmente a rischio di reazione crociata con tutte le altre specie, in quanto l’allergene maggiore dei pesci vertebrati presenta una elevata omologia di sequenza e di struttura terziaria.
Colazione e obesita’
Al convegno internazionale di Verona “Nutrition and metabolism in children” patrocinato dall’ECOG (European Childhood Obesity Group) e da tutte le Società Scientifiche Italiane che si occupano di Nutrizione Pediatrica, Claudio Maffeis (Clinica Pediatrica-Università di Verona) ha dimostrato con uno studio che le frequenze del consumo di colazione è associabile, in modo inversamente proporzionale, al BMI. Ovvero, indipendentemente da altri fattori quali età, sesso, razza, condizioni socioeconomiche e attività fisica, tanto più frequentemente si consuma la colazione, tanto più basso è il rischio di eccesso ponderale.
Purtroppo in Italia, una ricerca Eurisko conferma che oltre 8 milioni di persone (17 %) saltano la colazione. A questa percentuale va a affiancarsi il 15 % di chi consuma solo un caffè e il 18 % di chi fa colazione frettolosamente al bar. Un altro fattore determinante è il tempo. Quasi la metà di coloro che fanno colazione (46 %) le dedica meno di 10 minuti.
Per educare alla sana abitudine della prima colazione, Kellogg’s ha studiato e realizzato un progetto dal titolo “10 minuti mangiando sano” per sottolineare l’importanza del tempo che tutta la famiglia deve riuscire a dedicare costantemente tutti i giorni, vivendolo sia come primo momento di educazione nutrizionale genitori-figli, sia come “spazio psicologico” che aiuta ad affrontare meglio la giornata.
Al convegno di MilanoPediatria è stato presentato uno studio pubblicato sul Nutritional Journal che dimostra i benefici del consumo di cereali a favore del BMI, dei trigliceridi e del colesterolo. E’ stato analizzato l’effetto generato da un aumento di cereali nella dieta di alcuni bambini obesi e in sovrappeso.
I soggetti (età 6-12 anni)sono stati divisi in 4 gruppi. Per ciascun gruppo (ad eccezione del primo che rappresentava il controllo) veniva chiesto di aggiungere alla dieta un consumo di cereali con diverse modalità: a colazione (secondo gruppo), a colazione e cena (terzo gruppo), a colazione ma facendo un programma di educazione nutrizionale (quarto gruppo).
Già dopo 3 mesi si è osservata una riduzione in termini di BMI, trigliceridi e un incremento di colesterolo HDL solo nei bambini che, oltre a mangiare cereali pronti a colazione, seguivano un progvramma di edujcazione nutrizionale.
Tali dati – commenta Gianni Bona, Vicepresidente della SIP (Società Italiana di Pediatria) - dimostrano che l’assunzione costante di cereali pronti nella dieta quotidiana, al fine di incrementare i carboidrati complessi, le fibre, e di ridurre i grassi della dieta, si associa ad un miglioramento dei parametri metabolici e del peso solo se accompagnato da un’adeguata educazione alimentare.
Per arginare il fenomeno “obesità” è fondamentale iniziare la prevenzione fin dai primi anni di vita: un bambino obeso ha oltre il 40 % di possibilità di restare tale anche da adulto.
Caffe’ antiossidante
Al convegno NFI (Nutrition Foundation of Italy), Augustin Scalbert (INRA –Clermont Ferrand- Direttore del Laboratorio “ Micronutrients Metabolism and Biological Signatures”) ha detto che il consumo di 3-4 tazzine al giorno di caffè può fornire quasi un grammo di acidi clorogenici, la famiglia dei polifenoli a cui appartengono i flavonoidi presenti nel tè verde e nero, nel cioccolato amaro, nel vino rosso, nell’uva, nell’olio extravergine di oliva, sostanze ad azione antiossidante indicate nella neutralizzazione dei radicali liberi. Ci sono anche dati che confermano l’assorbimento intestinale degli acidi clorogenici con un picco plasmatico entro 2 ore dall’ingestione.
Il contenuto di acidi clorogenici varia a seconda della varietà di caffè, della torrefazione e della sua preparazione. Sono di circa il 28 % più abbondanti nella varietà Robusta che in quella Arabica. La torrefazione spinta può ridurre il contenuto di acidi clorogenici fino al 90 % rispetto a quella più leggera. Anche i metodi di preparazione, la proporzione di caffè rispetto all’acqua, la macinazione, la caffettiera esercitano un’influenza importante sul risultato finale. Quantità simili di antiossidanti si rilevano nel caffè decaffeinato.
Nello studio prospettico (Coffee Consumption and Risk of Cardiovascular Events After Acute Myocardial Infarction pubblicato su “Circulation”:) condotto su più di 11.000 pazienti arruolati dal GISSI (Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell’Infarto miocardico) è stata valutata la correlazione tra il consumo di caffè ed il rischio cardiovascolare in soggetti con pregresso infarto del miocardio, quindi a rischio elevato. I pazienti sono stati divisi in 3 gruppi in base al consumo di caffè: mai o quasi mai, 2 da 2-4 tazzine, più di 4 tazzine al giorno. I risultati hanno dimostrato che il consumo di caffè non modifica il rischio di comparsa di eventi coronarici, ictus e morte improvvisa. Quest’ultima osservazione appare interessante alla luce dei timori che il consumo di caffè possa facilitare la comparsa di aritmie anche fatali.
Il possibile effetto di riduzione della mortalità cardiovascolare e per patologie infiammatorie associato al consumo di caffè potrebbe essere la conseguenza delle sue capacità antiossidanti. Uno studio del 2007 (Patella F et al-, Am J Clin Nutr) ha dimostrato che il consumo di una tazza (200ml) di caffè effettivamente aumenta la resistenza delle LDL alle modificazioni ossidative e tale effetto è legato all’incorporazione di derivati fenolici del caffè alle lipoproteine circolanti.
Ci sono anche studi interessanti sul ruolo protettivo del caffè nei confronti del Parkinson e sulla riduzione del rischio di sviluppo del diabete di tipo 2.
Sino ad oggi gli acidi clorogenici caratteristici del caffè identificati sono 45.
Acqua: nutrimento essenziale
L’ADI (Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica) ha dedicato il XVIII Congresso Nazionale (organizzato a Genova da Samir Giuseppe Sukkar, direttore dell’U.O. di Dietetica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria S.Martino) all’acqua, una sostanza dai molteplici aspetti e dalle fondamentali proprietà biologiche.
Tutta l’attività metabolica dell’organismo umano dipende dall’equilibrio idrico, ed è per questo motivo che oggi la composizione corporea, gli stati disidratazione e di iperidratazione sono sempre più studiati nella pratica clinica, per poter dare dei parametri di riferimento aggiornati nelle varie patologie.
Anche nell’obesità (ormai riconosciuta come epidemia mondiale) vi è un’alterata distribuzione dei liquidi e il BMI deve essere sempre associato ad altri indicatori per la misurazione della composizione corporea, come la BIA (bioimpedenzometria) e la DEXA (Dual-energy X-ray absorptiometria).
La prima tecnica si basa sulla determinazione dell’opposizione che l’organismo offre al passaggio della corrente elettrica (la corrente passa con maggior facilità attraverso i tessuti che contengono acqua, non attraverso il tessuto adiposo).
Nell’obesità si verifica un’alterazione dell’idratazione della massa magra e della sua densità.
La seconda si vale di una fonte di raggi X opportunamente filtrata, la quale emette fotoni a diversi livelli di energia che consentono di suddividere il corpo umano in 3 parti con differente capacità di attenuazione dei raggi X: grasso, minerale osseo, massa alipidica. La potenzialità del metodo è elevata, però il costo dell’apparecchio ne limita ancora l’uso.
In letteratura sono descritti individui (circa il 20-30 % degli obesi, definiti MHO-Metabolically Healthy Obese) che, pur avendo percentuali notevoli di grasso corporeo, hanno un buon profilo metabolico (bassi livelli di LDL colesterolo, apnee, tumori, prblemi muscolo scheletrici).
Ci sono invece individui MONW (Metabolically Obese Normal Weigt, circa il 13-18%) con BMI normale o leggermente aumentato che sono ipertrigliceridemici, predisposti al diabete e soggetti alla comparsa di malattia coronarica. Questi soggetti, di solito ad elevato grasso viscerale, vanno sottoposti a dieta, esercizio fisico e terapia farmacologica, prima che diventino “a rischio”. Ecco perché il follow-up dei pazienti obesi non può più basarsi solo sul peso corporeo. La misurazione della composizione corporea si rivela molto utile per verificare l’andamento della terapia nutrizionale nei casi di forte diminuzione di peso, onde limitare la perdita di massa magra. Può essere anche utile nei casi di allenamento in atleti che svolgono attività sportiva a livello agonistico.
L’acqua è definita un “nutriente essenziale”, poiché la quantità prodotta con il metabolismo non è sufficiente a coprire il fabbisogno giornaliero. Ogni funzione dell’organismo ha bisogno di acqua, dalla digestione alla circolazione, dall’eliminazione delle scorie a tutte le reazioni chimiche che ci tengono in vita. Il controllo si realizza a partire dal sistema nervoso centrale che istantaneamente e costantemente è informato sulle condizioni dei vari sistemi corporei, inibisce o fornisce la produzione di specifici ormoni che agiscono a livello periferico modulando la sensazione di sete. Sono le cellule che agiscono come dei perfetti osmometri (sete intracellulare) e che inviano particolari segnali di regolazione dell’escrezione di liquidi (vasopressina).
La riduzione del volume sanguigno (sete extracellulare) è un meccanismo meno sensibile di quello intracellulare: richiede infatti una riduzione del volume ematico del 10 % per attivarsi.
Nella lettura FeSIN (la Federazione delle Società Scientifiche che si occupano di Nutrizione Umana), Carlo Lesi (Direttore U.O. Dietologia AUSL Bologna) ha ricordato che i fattori più frequenti che aumentano il fabbisogno di acqua e relativi elettroliti sono la febbre, l’eccessiva sudorazione, il vomito,la diarrea profusa, le fistole ad alta portata, le piaghe da decubito, l’ipertiroidismo per l’aumentato metabolismo. Particolari attenzioni vanno poste nei soggetti che hanno difficoltà nella deglutizione (disfagie), come avviene nell’ictus in fase acuta, nella sclerosi multipla, nella sclerosi laterale amiotrofica, nel parkinsonismo, nell’anziano istituzionalizzato con patologie neurodegenrative.
Tra i fattori che riducono la richiesta idrica vanno annoverati l’ipotiroidismo, gli stati edematosi con aumento dell’acqua extracellulare (edema polmonare), l’ipoprotidemina da fame, le infezioni croniche, le neoplasie dell’apparato digerente, l’insufficienza renale acuta, la sindrome nefrosica, lo scompenso cardiaco cronico, la cirrosi epatica ascitogena.
Per il soggetto adulto è stato stabilito un apporto giornaliero di acqua pari a 1ml/kcal di energia spesa, che può essere aumentato a 1,5ml/kcal a causa dell’attività fisica, della sudorazione e del carico di soluti. Per i bambini si raccomanda un apporto di acqua pari a 1,5ml/kcal di energia spesa.
Oggi l’acqua destinata al consumo umano (la vigente normativa ha abolito il termine “potabile”) dei comuni ben amministrati rappresenta un’ottima risorsa per il rifornimento idrico, tenuto conto del controllo quotidiano con parametri molto restrittivi (così non avviene per le acque minerali imbottigliate) e delle moderne tecnologie applicate (filtrazione su membrana, sedimentazione, chiarificazione, flocculazione per inglobamento dei colloidi, addolcimento mediante precipitazione, decarbonazione). In passato nell’acqua destinata al consumo umano si esagerava nella clorazione e l’odore dei derivati del cloro allontanava il consumatore. Le attuali esperienze dicono che, per eliminare questo inconveniente, è sufficiente lasciare le bottiglie (contenenti l’acqua che sgorga dal rubinetto casalingo) aperte per 1-2 ore.
Controllo del comportamento alimentare
Nelle ultime decadi la prevalenza dell’obesità è aumentata in misura esponenziale ed il fenomeno ha assunto dimensioni mondiali, stimolando la ricerca di nuovi approcci terapeutici per ridurre il fenomeno.
Finora l’attenzione è stata rivolta al sistema nervoso centrale, con la messa a punto di varie molecole (fentermina, fenfluoroamina, sibutramina, rimonabant). Recentemente i farmacologi hanno indirizzato l’attenzione al tratto gastrointestinale.
E’ stato così scoperto un meccanismo di controllo del comportamento alimentare che coinvolge un derivato di un acido grasso naturale: N-oleil etanolamide (NOE).
La NOE è sintetizzata nel piccolo intestino dove i suoi livelli diminuiscono in condizioni di digiuno e aumentano in modo notevole (circa 300 volte) nel corso dei pasti con un ritmo circadiano regolare. Queste fluttuazioni postprandiali producono segnali precisi che modulano la sazietà.
Il Centro Ricerche Bracco ha recentemente presentato una composizione brevettata a base di NOPE (il precursore della NOE) ed epigallocatechingallato (EGCG).
La NOPE è un fosfolipide minore presente in molti cibi d’origine animale e vegetale ed in particolare è abbondante nella soia, nelle uova e nel cioccolato. La NOPE è idrolizzata dalle fosfolipasi D delle membrane cellulari a N-oleil-etanolamide (NOE) ed acido fosfatidico.
La NOE ha di recente suscitato interesse perché è in grado di contrastare l’effetto dell’anandamide, un agonista dei recettori cannabinoidi. Da tempo è noto che l’attivazione di questi recettori comporta un aumento dell’appetito e, di conseguenza, un aumento dell’assunzione di cibo. Nell’animale da esperimento è stato dimostrato che la somministrazione di NOPE riduce l’assunzione di cibo e favorisce il calo ponderale.
Il NOPE è stato associato all’EGCG (epigallocatechingallato, la catechina caratteristica del tè verde) di cui è ben nota l’attività antiossidante che, oltre a ridurre gli eccessi di colesterolo nel sangue, contribuisce al controllo dell’omeostasi ponderale e alla termogenesi.
Uno studio in doppio cieco effettuato su 138 pazienti da Mariangela Rondanelli e collaboratori (Università di Pavia, Servizio Endocrino Nutrizionale della Facoltà di Medicina) ha potuto verificare che il presidio terapeutico suddetto è interessante per il suo ampio spettro di attività non solo sui parametri soggettivi di percezione della sazietà, ma anche sugli indici metabolici alterati che spesso accompagnano l’obesità, con effetti collaterali trascurabili.
I risultati incoraggianti di questo studio hanno portato alla progettazione di uno studio multicentrico nazionale (sotto la direzione di Maria Letizia Petroni, direttore del Servizio di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Istituto Auxologico Italiano), coinvolgendo numerosi Servizi di Dietetica e Nutrizione Clinica. Oltre a valutare l’efficacia del prodotto nel mantenimento del calo ponderale raggiunto, verranno valutati i parametri caratterizzanti la sindrome metabolica.
Funzionalita’ intestinale e viaggi
Al 6° Congresso Nazionale della SIMVIM (Società Italiana di Medicina dei Viaggi e delle Migrazioni) il presidente Vincenzo Nicosia ha evidenziato un problema che preoccupa i 50 milioni di viaggiatori che ogni anno si spostano per turismo o per affari in Paesi a basso tenore igienico: la diarrea del viaggiatore.
Questo disturbo generalmente non è preoccupante, mentre in alcuni gruppi di persone (anziani con o senza malattie croniche, bambini) può determinare pericoli anche gravi per la salute. In alcune aree geografiche l’incidenza del disturbo supera il 60 % per un periodo di permanenza di 2 settimane. I costi sono elevatissimi: negli Stati Uniti il costo stimato per ogni episodio è pari a 300 dollari: nelle forme acute, il costo totale è stimato a 1 miliardo di dollari (vengono ricoverati circa 200.000 bambini).
La reidratazione rimane il momento più importante nella maggior parte dei casi. Le forme lievi e con minime perdite idriche tendono ad autolimitarsi. Pertanto l’assunzione di acqua e qualche crackers salato (come fonte di cloruro di sodio) o l’uso di succhi di frutta garantiti (inscatolamento) è sufficiente per ottenere un’efficace reidratazione. Un’altra opzione è il brodo salato.
Come linea-guida si dovrà suggerire di evitare latte e latticini nei primi 2 giorni (spesso coesiste un deficit di lattasi) e cibi grassi (stimolano l’escrezione di sali biliari che hanno effetto osmotico) e cibi piccanti (aumentano il transito intestinale). I cibi preferiti comprendono riso, pasta, patate, banane, carni bollite. Le verdure vanno reintrodotte quando la diarrea comincia a migliorare.
Come farmaci finora sono stati utilizzati gli inibitori della motilità intestinale (loperamide) e antibiotici.
Una molecola di nuova concezione è il racecadotril (un inibitore dell’encefalinasi con effetto antisecretorio), che ha dimostrato di ridurre la secrezione eccessiva di acqua ed elettroliti nel lume intestinale, contrastando così la disidratazione in modo efficace e mirato consentendo di mantenere una normale fisiologia delle funzioni intestinali (non blocca la motilità). Inoltre agisce sui sintomi associati quali dolori, gonfiore addominale, astenia. Nei bambini può essere usato a partire dal terzo mese di vita.
In base alle condizioni igieniche , nel mondo si distinguono 3 livelli di rischio:
1) Alto rischio: America Latina, Asia, Africa sett., occ., orientale.
2) Rischio moderato: Europa mediterranea, Medio Oriente (in alcuni studi la Turchia è ad alto rischio), Cina, Sud Africa, Paesi dell’ ex Unione Sovietica.
3) Basso rischio: Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone.